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Astensionismo: se si sceglie di non scegliere
Attualità

Astensionismo: se si sceglie di non scegliere

L’astensionismo, non solo nel Comune di Asti, ha ormai raggiunto percentuali impensabili fino a qualche decennio fa quando le elezioni erano considerate il momento più importante della vita democratica del Paese, della Regione e del singolo Comune

«C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino, e consiste nel togliergli la voglia di votare». A dirlo è stato lo scrittore francese Robert Sabatier e mai come in questo caso le sue parole rappresentano lo stato dell’arte della situazione astigiana, ma anche italiana a ben vedere dalla scarsa affluenza al voto dell’11 giugno. Soffermiamoci sulla nostra città: 25.600 elettori, il 42,51% degli aventi diritto, domenica non si sono recati alle urne per eleggere il nuovo sindaco. Nell’Astigiano l’affluenza al voto è passata dal 71,45% del 2012, al 60,37%. Gli assenti avranno avuto qualcosa più interessante da fare che scegliere chi deciderà per i prossimi cinque anni, nel bene o nel male, le sorti del luogo in cui vivono?

Gli analisti li definiscono “analfabeti politici”, per altri sono disillusi, ma il problema è molto più grave di quanto non sembri e la politica pare fare di tutto per aumentare ancora di più questa distanza tra elettori ed eletti. L’astensionismo, non solo nel Comune di Asti, ha ormai raggiunto percentuali impensabili fino a qualche decennio fa quando le elezioni erano considerate il momento più importante della vita democratica del Paese, della Regione e del singolo Comune.

Poi, tra leggi elettorali in parte incostituzionali e liste bloccate, governi tecnici e la nascita degli enti locali di secondo livello, come le Province, i cittadini hanno, di fatto, iniziato a perdere la propria sovranità in favore di scelte relegate nelle stanze delle segreterie di partito.

I governi tecnici, pur legittimi, ma non rappresentativi della volontà popolare, hanno dato la mazzata finale a quel delicato meccanismo della rappresentanza elettiva alimentando la sfiducia verso le istituzioni.

Fa specie, però, prendere atto che anche a livello locale, dove ci dovrebbe essere un maggior coinvolgimento del cittadino nella scelta degli organi amministrativi, l’astensionismo abbia raggiunto dati allarmanti.

L’abolizione, solo sulla carta, delle Province, svuotate di competenze, ma soprattutto di soldi, e trasformate in enti di secondo livello alle cui votazioni accedono solo sindaci e consiglieri comunali, hanno lasciato pochi spazi per esercitare il sacrosanto diritto di voto.

Restano le Regioni e i Comuni, poco altro. Eppure la voglia di partecipazione su temi di interesse generale, come il Referendum Costituzionale del 4 dicembre scorso, esiste ancora e gode di buona salute. Lo dimostra quel 65% degli elettori che hanno deciso di votare NO per bloccare la Riforma della Carta promossa dall’ex premier Mattero Renzi.

Allora perché proprio nei Comuni, dove avviene l’elezione diretta del sindaco, la partecipazione va scemando così tanto?

Se il 42,51% degli elettori di Asti non è interessata a scegliere la persona le cui decisioni ricadranno direttamente sul vivere quotidiano (tasse locali, viabilità, ambiente, salute, servizi ai cittadini, piano urbanistico, asili nido, etc.) ci si chiede se questa “non voglia” di decidere, salvo poi lamentarsi sempre e comunque soprattutto sui social network, non sia una scelta di comodo. Scelgo di non scegliere, non mi interessa, ma sarò contro alla decisione presa dagli altri.

Gli assenti hanno quasi sempre torto, ma se non esercitano il diritto costituzionale di voto, ne hanno ancora di più. E non può più essere una giustificazione il trincerarsi dietro la solita scusa del “tanto sono tutti uguali”, “tanto il mio voto non vale nulla”. No, non è così: ogni voto può fare la differenza e le sei preferenze di vantaggio con cui Massimo Cerruti del Movimento 5 Stelle accede al ballottaggio del 25 giugno ne sono l’esempio più clamoroso. Votare è un diritto, non farlo pure, ma lamentarsi che tutto va male, quando si sceglie di restare comodamente in panchina delegando gli altri a giocare la partita più importante, è una forma di populismo spicciolo e di disinteresse che fa il gioco di chi alimenta l’antipolitica con slogan diretti alla pancia, più che alla testa delle persone. E’ questo ciò che intendiamo per prendersi cura del bene comune? Al ballottaggio l’ardua sentenza.

Riccardo Santagati

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