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Attualità

Il vescovo: “In futuro meno sacerdoti ma più aiuto da parte dei laici”

Monsignor Marco Prastaro parla del primo periodo alla guida della Diocesi di Asti e della fase di transizione che sta interessando la Chiesa

Intervista al vescovo

«A tutti gli Astigiani auguro un Natale di serenità, in famiglia e in salute. Auguro anche che possano vivere con speranza, ottimismo e coraggio verso il futuro. E questo perché la Storia va nella direzione giusta, verso Dio, anche se non capiamo quale strada imbocchi per arrivarci».
Sono gli auguri in vista delle prossime festività natalizie del vescovo Marco Prastaro, che ha celebrato il suo ingresso in Duomo lo scorso 21 ottobre. Gli abbiamo posto alcune domande sul primo periodo alla guida della Diocesi e sulle prospettive future.

Il primo periodo alla guida della Diocesi di Asti

Qual è stata la sua prima impressione della città e degli Astigiani?
«Ho avuto un’impressione positiva. Gli Astigiani si sono rivelati molto calorosi nel modo con cui mi hanno accolto. Per quanto riguarda la città, devo dire che non la conoscevo e mi è parsa molto bella, caratterizzata da chiese imponenti, come la Collegiata di San Secondo e la Cattedrale. Inoltre mi ha colpito la provincia, puntellata da numerosi e variegati paesi e borghi immersi nel paesaggio collinare».
A quali incontri ha partecipato finora?
«Ho preso parte a numerosi incontri pubblici, ho ricevuto numerose cariche istituzionali e tante persone negli ambiti più diversi. All’interno del contesto ecclesiale ho conosciuto i sacerdoti, mi sono recato in tutte le zone pastorali, ho celebrato numerose messe, una Cresima a Refrancore e la professione religiosa di una monaca a Pralormo».
«Inoltre ho conosciuto i giovani della Diocesi ad alcuni incontri promossi dalla Pastorale giovanile, e poi tante altre figure importanti, dai catechisti ai diaconi permanenti».

Riflessioni sul futuro

Il suo predecessore, monsignor Francesco Ravinale, ha affermato che il cambio del vescovo è giunto al momento opportuno, dato che le modifiche attuate finora a livello di organizzazione del clero non saranno sufficienti a coprire il calo di vocazioni. Si è già fatto un’idea in merito?
«A questo proposito ritengo che il problema sia duplice. Da una parte, infatti, è una questione di “organizzazione interna” alla Diocesi, che attualmente conta 69 sacerdoti, 36 dei quali hanno più di 70 anni. Negli anni a venire, quindi, avremo 33 preti che svolgeranno il lavoro che prima era coperto da 69 religiosi e, in passato, da 150. Quindi, se si analizza la questione dal punto di vista organizzativo, bisogna sicuramente continuare nella direzione di unire le comunità parrocchiali. Un processo che dovrà tener conto del territorio, soprattutto in provincia, della demografia e delle abitudini di vita della popolazione».
«Dall’altra il problema della scarsità delle vocazioni determina un ripensamento del ruolo e del significato dell’essere prete oggi. Cosa determina l’identità di un sacerdote? Quali sono i suoi compiti fondamentali e imprescindibili? Tutte domande cui bisognerà dare una risposta, riflettendo al contempo sulla necessità di un maggiore apporto del laicato, in un periodo in cui la Chiesa sta vivendo una fase di transizione, un processo di cui spesso non ci rendiamo conto ma in cui è coinvolto tutto il popolo di Dio».
Cosa pensa del fenomeno del calo delle vocazioni e del suo futuro?
«Il fenomeno del calo delle vocazioni è legato alla cultura del nostro tempo: la natalità è in diminuzione e i giovani rimandano il più possibile le scelte definitive. In tale contesto, come Chiesa, dobbiamo esprimere meglio la bellezza della vita del prete in modo che susciti interrogativi tra i giovani. Tanto più a livello locale, dato che la Diocesi di Asti è caratterizzata da un clero sereno».
In tale contesto come vede il futuro degli oratori?
«In generale, senza alcun riferimento alla situazione locale che non conosco ancora, posso dire che gli oratori continuano a mantenere il loro significato e devono svilupparsi sempre più come centri di aggregazione dei giovani ma anche delle famiglie, proponendo diversi linguaggi, dalla musica allo sport, grazie a cui tutti possano sentirsi accolti. Inoltre devono dare vita ad un contesto in cui il Vangelo venga annunciato con un linguaggio comprensibile, utilizzando anche nuove forme».

L’esperienza missionaria e gli auguri agli Astigiani

Nella sua vita sacerdotale l’esperienza missionaria ha assunto un ruolo importante, dato che è vissuto in Kenya per tredici anni. Cosa le ha lasciato?
«Mi ha lasciato un senso di maggiore pazienza e lentezza, oltre alla consapevolezza che la vita è più complessa di una chat e necessita di tempi lunghi di riflessione. E ancora, dal punto di vista della fede mi ha consentito di “toccare con mano” come il patrimonio di ideali e valori della Chiesa sia in grado di trasformare positivamente una società. Infine mi ha insegnato la bellezza del lavorare insieme superando il campanilismo».
Quale augurio fa agli Astigiani per Natale?
«A tutti gli Astigiani auguro un Natale di serenità, in famiglia e in salute. Auguro anche che possano vivere con speranza, ottimismo e coraggio verso il futuro. E questo perché la Storia va nella direzione giusta, verso Dio, anche se non capiamo quale strada imbocchi per arrivarci».

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