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Attualità

"Io, Pino, ho cominciato a giocare
con la paghetta della mamma"

«Al pomeriggio avevo già perso tutto», «Sono diventato un bugiardo», «Non avevo soldi per un gelato ai figli, ma per il poker sì». Le drammatiche testimonianze raccolte dal gruppo di autoaiuto "Giocatori anonimi", che dà una mano a chi vuole uscire dalla dipendenza da gioco. Videopoker, slot, gratta&vinci, per i quali si arriva a dilapidare l'intero stipendio…

«Sono Pino, giocatore compulsivo» dice uno e “Ciao Pino”, gli rispondono tutti gli altri. Poi Pino (ovviamente i nomi sono tutti di fantasia, mentre il problema è terribilmente reale) comincia a raccontare in tono quasi sommesso la sua storia, che tutti ascoltano in silenzio, chiusi nei propri pensieri, e i ricordi di uno somigliano ai ricordi di tutti: solo chi ha vissuto l’esperienza devastante può capire, gli altri no, al massimo ci ragionano sopra, usano il cuore, ma non possono capire davvero.

«Ho giocato da sempre, da quando mia madre al mattino mi dava la paghetta che io al pomeriggio avevo già perduto. Poi ho iniziato col poker, ho smesso per un po’ e ho iniziato con i video poker, la mia rovina. Non avevo i soldi per comprare un gelato ai figli, ma per il poker sì. Sono diventato bugiardo, ho perso la stima di me stesso e ho tentato due volte il suicidio. Ho smesso e ricominciato, finché non ho conosciuto gli Alcolisti anonimi e da lì sono arrivato ai Giocatori anonimi: la prima sera non avevo il coraggio di farmi vedere, ma poi mi sono trovato in famiglia. Sono ricaduto nel gioco per troppa sicurezza e ho capito che ogni giorno si può sbagliare». Pino tace, ha finito la sua testimonianza e da tutti, come litanìa, viene un “Grazie Pino” ed un applauso.

Parla Marco: «Ho cominciato a giocare negli Anni Ottanta, ma nel 1998 mi hanno diagnosticato un tumore e ho pensato che tutto fosse finito. Arrivata la pensione, un giorno per caso ho iniziato a giocare alle macchinette: ho speso tutto quello che avevo, sono entrato nel vortice dei debiti e ho distrutto una famiglia con due figli. Mille discussioni con mia moglie, mille bugie: il mio macigno era la macchinetta. Quando mi avvicinavo a lei mi sentivo un grande, quando uscivo dopo aver perso tutto, mi sentivo un “c….ne”. Alla fine sono arrivato ai Giocatori anonimi, senza essere convinto che il gioco fosse una malattia: oggi ho capito che lo è e voglio ritornare quel che ero, tornare a sorridere e scherzare. Ho imparato a prendere la vita un giorno alla volta».

Fra i presenti ci sono anche famigliari di giocatori, che fanno parte del gruppo “Gamanon”: una madre racconta di come il figlio le avesse sempre nascosto tutto e di quanto lei si sentisse in colpa per non accettarlo. Le testimonianze proseguono e tutte hanno in comune storie tristi di debiti, menzogne, piccoli espedienti per trovare due soldi da giocarsi alle macchinette: in tutte c’è l’umiliazione per non sentirsi capaci di uscire dal pozzo in cui il gioco li ha precipitati, ma anche la speranza di trovare nel gruppo la strada giusta. «Sono Pino, Gianni, Luca … giocatore compulsivo»: si presentano così per ricordarsi che ogni giorno, in quel pozzo, è possibile ricaderci.

Renato Romagnoli

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