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Paolo De Benedetti, addio al grande teologo e biblista
Attualità

Paolo De Benedetti, addio al grande teologo e biblista

L’uomo è deceduto ad Asti domenica mattina. Noi lo ricordiamo pubblicando l’intervista che ci rilasciò nel 2014 raccontando se stesso, il suo lavoro, la sua giovinezza e l’amicizia con Umberto Eco e il Cardinal Martini

Domenica mattina è deceduto l’astigiano Paolo De Benedetti, biblista e teologo di fama internazionale. Presto avrebbe compiuto 89 anni. Lo vogliamo ricordare pubblicando l’intervista che ci rilasciò a maggio 2014 raccontando se stesso, il suo lavoro, la sua giovinezza e l’amicizia con Umberto Eco e il cardinal Martini

E’ Maria, ad aprirmi la porta di casa. Ad accogliermi sull’uscio arrivano festosi i gatti che abitano con lei e con suo fratello, Paolo De Benedetti. Per la nostra chiacchierata ci accomodiamo in salotto, dove ci fanno da sfondo i molti libri che contribuiscono a rendere questo ambiente caldo e accogliente. Iniziamo la nostra chiacchierata parlando del suo personale rapporto con la città.

«Il mio rapporto con Asti non è mai cambiato e anche se per lavoro ho dovuto spostarmi a Milano, non ho mai pensato di trasferirmi là. La mia attività editoriale a Milano per Bompiani non ha mai cancellato la mia astigianità. Oggi non provo alcuna nostalgia per Milano, anche se di quel periodo resta l’affetto per i colleghi e gli amici. Asti è la mia patria e non avrei mai accettato di lasciarla in modo totale perché sono molto legato alla tradizione ebraico-biblica in cui il territorio e la genealogia sono fondamentali. Credo che questo sentimento sia diventato essenziale proprio perché il lavoro mi ha portato ad allontanarmi».

Paolo De Benedetti nel dettagliarmi il suo legame con Asti, arriva a parlarmi anche «dell’intreccio linguistico» esistente fino al secolo scorso, in cui il piemontese si sposava con il giudeo. Gli ebrei piemontesi fino a un secolo fa infatti parlavano il dialetto giudeo-piemontese di cui il mio interlocutore mi offre esempi interessanti. «Neanche per sogno era “Gnanca par chalom”; cose dell’altro mondo diventava: “Robe dl’aotr ‘olam”. Erano frequenti anche le parole ebraiche con desinenze piemontesi e questi intrecci creavano una cultura originale».

Per Paolo De Benedetti, Umberto Eco scrisse una poesia divertente pubblicata sulla rivista Humanitas, che ad un certo punto recitava così: «PDB – abbreviazione del nome e cognome – a noi insegna il segreto nom di Dio: ah sapessi anco pur io tanto ebraico quanto lui, che cotanta erudizione a noi dona il mar dei mar».

Ricordando questa composizione spiritosa dell’amico, Paolo De Benedetti sorride e mi racconta di come è cominciata questa amicizia. «Umberto Eco ed io siamo stati compagni di Università, la nostra vita da studenti era scherzosa e goliardica. In seguito fui io il tramite per l’ingresso di Eco nella Bompiani e ricordo che fu proprio Bompiani stesso a incaricarmi di contattarlo per proporgli l’assunzione. Da quel momento si può dire che il funzionamento della Bompiani fu affidato a tre redattori: al sottoscritto, a Umberto Eco e all’astigiano Sergio Morando. L’amicizia con Eco, anche se i casi della vita ci hanno poi allontanati, è stato uno degli aspetti positivi della nostra coesistenza Bompianesca. Alla Bompiani io mi occupavo di libri religiosi e strenne, Eco delle produzioni filosofiche più varie».

Intuisco l’importanza e il ricordo vivo di questo rapporto quando il mio interlocutore mi dice: «Se ci incontrassimo oggi, certo ci abbracceremmo». Parlando di amicizia e del dialogo fecondo che ne deriva, non posso non chiedere a Paolo De Benedetti di parlarmi del Cardinale Carlo Maria Martini e del loro legame, proprio il Cardinale ha firmato l’introduzione del suo libro “Se così si può dire”.

«Definirei Carlo Maria Martini come il padre della Chiesa del XX secolo. I nostri rapporti nacquero per il comune interesse al cosiddetto dialogo ebraico-cristiano. Era una figura nello stesso tempo timida e autorevole. Un’autorevolezza che non costringeva a vivere la fede come un’obbedienza. Feci parte della Commissione ecumenica da lui creata e su questo tema i nostri rapporti durarono molti anni». Nel 2012, anno in cui morì il Cardinale, Paolo De Benedetti scrisse in un suo articolo: «Io credo, se così si può dire, che Dio abbia preso con sé Carlo Maria Martini per un bisogno di conversare con lui».

Dal dialogo interreligioso arriviamo a parlare dell’importanza di nominare le cose. Questa importanza ha un’origine biblica «Tant’è vero – aggiunge Paolo De benedetti – che nella Bibbia la maledizione consiste nel cancellare il nome». Gli domando allora di parlare di colui che è tra i pochi che hanno la facoltà di scegliere il proprio nome, ovvero il Papa. Paolo De Benedetti motiva così la scelta del nome Francesco: «Il Papa ha voluto imporsi un nome che lo aiutasse a realizzare l’icona del Santo di Assisi, icona in cui si realizza la massima carità, intesa come aiuto, umiltà, imitatio Dei».

Mentre chiacchieriamo, Mazzarina, la gatta, salta su uno scaffale della libreria e si infila nello spazio libero tra due libri. Paolo De Benedetti la guarda e commenta: «Gli animali per me rappresentano la prima creazione della vita dopo le piante. Una vita che nelle specie superiori è dotata di sentimenti, aspirazioni, preghiera. Secondo la Bibbia potremmo dire che tutto il creato invoca Dio e gli animali esprimono il “bisogno di Dio” di una vita in crescita, dalla formica al cane e al gatto. Grazie ai cani e ai gatti che mi accompagnano e mi hanno accompagnato, riconosco due esigenze che non sempre si realizzano, ovvero riconoscere l’origine divina del nostro amore per gli animali e confidarla a Dio, nel caso – Dio mi perdoni, sto scherzando – se ne fosse dimenticato».

Paolo De Benedetti è stato docente di giudaismo e di Antico testamento negli Istituti di Scienze Religiose delle Università di Urbino e Trento, ha avuto con i giovani un rapporto diretto. Parlando di loro, dice: «I giovani dovrebbero possedere dei genitori, dei maestri e degli amici che li aiutino a quell’atto su cui si è radicata tutta la Bibbia e che distingue i viventi dal nulla che è la scelta». Gli domando allora se ci siano alcuni dei suoi studenti che ricorda in modo particolare. «Non saprei menzionarne uno, ma molti e mi riferisco a quelli che mi facevano domande. Io credo che il rapporto con il prossimo, come quello con Dio stia nelle domande e che, come un buon insegnante, così anche Dio desideri ricevere tante domande. Non dimentichiamo che anch’Egli le fa a noi e che una delle forme migliori di preghiera sia rispondergli»

Sottopongo alla sua attenzione la frase “La fede senza ragione non è gradita a Dio” che ho ascoltato recentemente ad un convegno e gli chiedo di commentarla. «Bisogna intendere cosa si vuole dire con “ragione”. Recentemente ho visto in una foto Papa Francesco accarezzare il cane di un cieco e non so dire se sia maggiore la fede del cieco, quella del cane o quella del Papa, ma tutte e tre sono, se così si può dire, il segno di una quarta fede: quella di Dio nel breve incontro perché, non dimentichiamocelo, nessuno di questi incontri avviene per caso».

Mi piace pensare che anche il nostro incontro di oggi, difficile da riassumere in poche righe, non sia avvenuto per caso.

Alessia Conti

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