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tribunale di Asti
Cronaca

Cric sulla testa del ladro di camion

Non fu tentato omicidio ma solo lesioni gravi l’aggressione di un impresario edile che, nell’aprile del 2014, colpì al volto il ladro che gli aveva sottratto il camioncino

Cric sulla testa del ladro che gli ruba il camioncino

Cric sulla testa del ladro che si era impossessato del suo camion: una condanna a metà strada fra la richiesta del pm (12 anni per tentato omicidio) e quella della difesa (assoluzione per legittima difesa): 4 anni. Tanto, infatti, è stato inflitto a Giuseppe Catarisano, impresario edile di Costigliole, sotto processo per l’aggressione avvenuta ai primi di aprile del 2014.
A farne le spese è stato un giovane calabrese di Rosarno che riportò la frattura del naso e altre lesioni alla testa.
Praticamente nulla la collaborazione di imputato e vittima alla chiarezza di questa vicenda.

Testimone oculare

Fra i testimoni oculari di quanto accaduto, invece, un architetto chiamato dalla difesa di Catarisano, l’avvocato Gatti.
Il professionista, che seguiva alcuni cantieri di Catarisano, era con lui, un pomeriggio di inizio a prile, in un bar di Isola. Lui con la sua auto e Catarisano con il camioncino da lavoro. Mentre bevevano il caffè, si sono accorti che qualcuno stava rubando il camioncino. Con l’auto dell’architetto hanno seguito il mezzo fino ad una delle cave sul Tanaro dove il camioncino si era incastrato lungo una rampa. Secondo il racconto dell’architetto, Catarisano, che nel tragitto aveva avvertito telefonicamente i carabinieri di quanto stava accadendo, una volta arrivato sul posto ha affrontato il ladro e si sono “chiariti” con una prima scazzottata. A questa ne è seguita una seconda, nel corso della quale l’architetto ha testimoniato di aver visto l’impresario dare una testata in pieno viso al ladro.

Il ladro portato via in elisoccorso

Ladro che perse i sensi e venne poi soccorso in elicottero a causa della copiosa perdita di sangue dal naso rotto.
Il testimone oculare non parla di uso, da parte del Catarisano, di cric o di altri utensili di ferro sferrati contro il ladro.
Ne è convinta invece il pm Boschetto, titolare dell’inchiesta perchè, come ha detto al collegio di giudici presieduto dal dottor Amerio «E’ lo stesso imputato che ce lo dice nel corso di un’intercettazione ambientale».
La conversazione cui fa riferimento il pm viene captata non nell’ambito di questo processo, ma in quello che vede il figlio dell’impresario, Ferdinando, accusato di aver commesso l’omicidio di Luigi Di Gianni, insieme al cugino Ivan Commisso, nel gennaio del 2013.
Parlando con il figlio e la nuora, Giuseppe Catarisano ammette di aver preso dal camion una “chiave giratubi” pensando che il ladro fosse armato.

Uno scontro fra clan

Una convinzione che sarebbe derivata dal fatto che, nella prima colluttazione, il ladro si sarebbe scoperto una manica mostrando un tatuaggio con un diavolo e urlando a gran voce di esserlo lui stesso, facendo riferimento all’appartenenza ad un clan della malavita calabrese.
«Questo episodio si inserisce chiaramente all’interno di rapporti fra organizzazioni di criminalità organizzata – ha detto il pm Boschetto nella sua requisitoria – Un incidente che hanno preferito risolvere in un incontro fra “famiglie” piuttosto che nell’aula di un tribunale, facendo mancare qualsiasi collaborazione alle indagini».

Per l’imputato fu legittima difesa

La difesa, anche grazie alla deposizione di un suo consulente medico legale, ha smontato la gravita dell’episodio sostenente l’insussistenza del grave reato di tentato omicidio.
Ma non gli basta la derubricazione nella più tenue accusa di lesioni gravi.
La difesa di Catarisano chiede per il suo cliente l’assoluzione riconducendo l’aggressione ad una legittima difesa di un impresario cui era stato rubato il mezzo che gli consentiva di lavorare.
Per questo motivo ha già annunciato ricorso in Appello contro la condanna a 4 anni.

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