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Lotta alla tratta: Asti leader, senza soldi
Cronaca

Lotta alla tratta: Asti leader, senza soldi

Per un errore di invio telematico, il Piam si è trovato senza più fondi con il rischio di gettare alle ortiche una lunga esperienza di aiuto su strada nonché esempio virtuoso per molti altre città

Ha i contorni della beffa e potrebbe quasi far sorridere se in gioco non ci fossero le vite di donne sfruttate e il futuro di posti di lavoro e professionalità acquisite con grande fatica.
Ancora una volta, una buona legge spinta da buonissime intenzioni, ha finito per distruggere un preesistente modus operandi molto efficace e funzionante, seppure meno sistematico.
Il tema è quello della lotta alla tratta umana, in particolar modo a quella delle donne che vengono reclutate nei Paesi più poveri del mondo, soprattutto africani, e convinte (con l’inganno o con le minacce alle loro famiglie) a trasferirsi in Europa dove finiscono regolarmente sui marciapiedi.

Un Piano europeo elaborato sull’esperienza italiana

Storia nota ma non per questo meno importante da contrastare, tanto che l’Europa ha imposto agli Stati membri di elaborare Piani nazionali anti-tratta su un modello che ricalca sostanzialmente quello italiano. Il nostro Paese, infatti, è stato fra i primi ad occuparsi del fenomeno, essendo fra gli approdi privilegiati delle donne in arrivo dall’Africa e, all’interno dell’Italia, la rete di accoglienza e accompagnamento affinata dalla onlus astigiana Piam in oltre 15 anni di attività, è un fiore all’occhiello. Tanto che in passato, nella sede di via Carducci e nelle case di accoglienza, sono arrivati a far visita importanti esponenti mondiali che si occupano di questo argomento, non ultima Joy Ngozi Ezeilo, Special Rapporteur on Trafficking in Persons delle Nazioni Unite appena due anni fa.
Settimanalmente unità di strada contattano le ragazze in attesa di clienti fornendo informazioni sanitarie di base, distribuendo preservativi per salvaguardare la loro salute e quella degli uomini con cui si accompagnano, informandole della possibilità di entrare in un programma di protezione denunciando i loro sfruttatori. Quando qualcuna questa lo fa (sono state 200 le ragazze accolte dal Piam dalla sua nascita), allora parte la macchina dell’accoglienza in luoghi protetti, con assistenza sanitaria, legale, psicologica, progetti scolastici e lavorativi per un reinserimento in sicurezza e dignità nella società.

Da tempo il Piam e le associazioni omologhe che in tutta Italia si occupano dell’anti tratta, attendevano una legge organica.
Arriva il bando da vincere a colpi di click
Il Governo ha varato il Piano nazionale e a metà luglio ha pubblicato il bando finanziato con 13 milioni di euro. I progetti andavano inviati in via telematica e anche in questo caso faceva fede il famigerato “click” di arrivo in posta elettronica per avere accesso ai finanziamenti. Una volta uscite le graduatorie, ecco le sorprese. Regioni come Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta ma anche Basilicata, Sardegna e metà Sicilia (quella interessata dal maggior numero di sbarchi, per intenderci), sono state escluse. Qualcuna per un ritardo nell’invio (di qualche minuto), altre, come il Piemonte, per un formale errore di invio di un pdf arrivato troncato a metà. E così, per un click più lento o per un file incompleto per un evidente errore materiale, tutto il nord ovest dell’Italia è rimane scoperto di un servizio che, seppur sembri lontano dalla quotidianità dei cittadini, è invece importantissimo per non lasciare mano libera agli sfruttatori. Che, dietro al lavoro delle donne, portano una radicalizzazione di un certo tipo di reati.

E, se non bastasse, le norme di assegnazione dei fondi a chi è entrato in graduatoria non è proporzionale, ma ad esaurimento, così solo poco più di una decina di realtà è stata finanziata, a fronte di una rete italiana ben più vasta.

Un file incompleto lascia fuori il Piemonte

E così, da fiore all’occhiello italiano in questo delicatissimo settore di contrasto, il Piam si è ritrovato da un giorno all’altro senza un centesimo di finanziamento su questo servizio, con alcuni centri di accoglienza attivi ed efficienti, una serie di ragazze attualmente “in carico” (108 in Piemonte) che rischiano di essere trasferite in altre regioni (tenendo conto che alcune stanno lavorando in stage presso imprenditori astigiani che hanno già manifestato l’intenzione di assumerle) e operatori super qualificati (almeno 35 in tutta la Regione) che dal primo settembre dovranno mettersi a fare altro buttando a mare una specializzazione, una professionalità e un’esperienza fondamentali per chi voglia davvero approcciarsi a queste ragazze e strapparle alla prostituzione.

La proposta locale alla Prefettura

«In attesa che la Regione Piemonte trovi il modo di evitare lo smantellamento della rete – dice Alberto Mossino, presidente del Piam – abbiamo proposto alla Prefettura di affidarci le donne richiedenti asilo per le quali si sospetta un intervento dei trafficanti di prostitute. Possiamo mettere a disposizione le nostre professionalità per impedire che, una volta sbarcate in Italia, vengano inviate sui marciapiedi. Un’eventualità molto probabile e frequente visto che, con la nostra unità di strada, abbiamo notato che, solo nell’Astigiano, negli ultimi due anni la presenza di prostitute in città è aumentata di circa il 25% e si tratta di donne sempre più giovani con una “turnazione” sempre più serrata, a dimostrazione della aumentata disponibilità di prostitute da immettere in quel mondo».

La notizia fa il giro del mondo

Mentre in Italia si tenta di risolvere questo pasticcio difficile da spiegare al resto del mondo, a Mossino e ai suoi collaboratori continuano ad arrivare richieste di interviste per spiegare il “modello astigiano” di accoglienza e supporto all’anti tratta: fra le ultime quelle rilasciate al Guardian, BBC CBS oltre ad una tv olandese, una australiana e una turca. Ovviamente, oltre alla presentazione dell’attività del Piam, i suoi responsabili non possono non sottolineare che questo esempio copiato dall’Europa, dall’Italia non ha ricevuto un centesimo al recente bando.

Daniela Peira

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