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Prostata, la protezione del palloncino
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Prostata, la protezione del palloncino

Un dispositivo biodegradabile per separare la prostata e la parete anteriore del retto, evitando che quest’ultimo venga irradiato durante la radioterapia. Il Cardinal Massaia è stato il primo ospedale in Italia a introdurre nel 2011 questa metodica

La metodica innovativa del palloncino biodegradabile, capace di migliorare la tolleranza alla radioterapia nei tumori della prostata, potrà contare per sei mesi, all’ospedale Cardinal Massaia, su un medico dedicato.
Un contributo stanziato dalla Fondazione Banca Popolare di Novara per il territorio garantirà infatti la presenza, nel reparto di Radioterapia, di una giovane dottoressa: Lydia Marino, 31 anni, che dopo essersi specializzata all’Università di Torino ha operato all’Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Candiolo.

Ha preso servizio ieri, lunedì, affiancando la dottoressa Cristina Origlia, che si occupa del piano di cura dei pazienti “trattati” col palloncino.
La metodica prevede l’impianto, nel malato, di un dispositivo biodegradabile per separare la prostata e la parete anteriore del retto, evitando che quest’ultimo venga irradiato durante la radioterapia.
L’intervento poggia sulla collaborazione tra i reparti di Urologia e Radioterapia, diretti rispettivamente dai primari Franco Bardari e Maria Tessa. Il dispositivo viene sistemato dall’urologo Michele Cussotto, mentre il piano di cura e l’esecuzione del trattamento con radiazioni ionizzanti è a cura dell’équipe di Radioterapia e di Fisica sanitaria.

Il palloncino biodegradabile viene riservato a una determinata tipologia di pazienti che, per particolari dimensioni e forma della prostata o per preesistenti patologie al retto, per ricevere una dose di radiazioni adeguata a eliminare la malattia va incontro a una maggiore probabilità di complicanze rettali. Il dispositivo mantiene la propria forma e funzione per almeno 3 mesi, il tempo necessario a preparare e concludere la radioterapia (la cui durata è di circa 60 giorni), dopo di che inizierà a biodegradarsi, per scomparire del tutto entro 6 mesi.

«Il Cardinal Massaia – ricorda la dottoressa Tessa – è stato il primo ospedale in Italia, al di fuori della sperimentazione, a introdurre nel 2011 questa metodica, che per Asti rappresenta un progetto di ricerca clinica molto qualificante. Il palloncino è ben tollerato dai pazienti, ma il piano di cura richiede ai sanitari un tempo e un’attenzione maggiore: l’attività garantita dalla dottoressa Marino, grazie al contributo privato su cui possiamo contare, consentirà di rispondere con le risorse umane ed economiche necessarie».
Nei giorni scorsi il punto sul progetto, alla luce dell’inserimento in reparto della giovane specialista, è stato fatto tra le radioterapiste Maria Tessa, Cristina Origlia, Angela Argenta, Lydia Marino, gli urologi Franco Bardari e Michele Cussotto, il direttore Area Affari di Asti della Banca Popolare di Novara Rosalia Spagnarisi.

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