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Renato Grimaldi e quegli alpini caduti e ritrovati
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Renato Grimaldi e quegli alpini caduti e ritrovati

L’immagine dell’Alpino è spesso associata ad uno dei conflitti più brutali e sanguinosi che la storia moderna ricordi, ossia la Prima Guerra Mondiale. Molti furono i ragazzi che tra il 1915 e il 1918 partirono da ogni angolo dell’Italia

L’immagine dell’Alpino è spesso associata ad uno dei conflitti più brutali e sanguinosi che la storia moderna ricordi, ossia la Prima Guerra Mondiale. Molti furono i ragazzi che tra il 1915 e il 1918 partirono da ogni angolo dell’Italia per combattere lungo il fronte orientale, lungo il confine con l’Impero Austro-Ungarico, e non fecero più ritorno. Fra questi anche molti ragazzi dell’Astigiano che sul Piave morirono senza neppure avere la consolazione di una sepoltura nella propria terra d’origine. Le atrocità di quel conflitto si ripeterono trent’anni dopo sui campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale dove altri giovani perirono per mano del nemico e lì rimasero sepolti in anonimi sacrari e cimiteri militari. E’ lo scotto che ha pagato chi, chiamato dalla Patria, ha indossato scarponi, una divisa e un fucile, a volte senza aver avuto molta altra scelta, ed è partito verso una destinazione ignota, nella speranza di poter rivedere il volto dei propri cari.

A Calosso però vi è un astigiano che non ha mai potuto sopportare l’idea di tutti questi ragazzi dimenticati in tombe anonime in terra straniera e da alcuni anni ha deciso di rintracciare quei poveri resti per portarli a casa. Lui si chiama Renato Grimaldi fondatore insieme ad Enrico Trinchero del Museo dell’Alpino e del Combattente piemontese di Costigliole. Oltre a collezionare divise d’epoca, armi e reperti bellici della Prima e Seconda Guerra Mondiale, Grimaldi ha raccolto un numero impressionante di cartoline e lettere scritte dai soldati al fronte, per lo più Alpini, e conservati dalle loro famiglie. Leggendo quelle righe sbiadite dal tempo, Renato si è immedesimato in quei giovani poco più che ventenni che nelle lettere indirizzate quasi sempre alla mamma chiedevano, in un italiano sgrammaticato, notizie sui famigliari, sulla fidanzata, sul raccolto e sul paese, tentando di smorzare la paura e l’ansia di chi li aspettava a casa. «E’ leggendo queste lettere che mi è venuta in mente l’idea di cercare i ragazzi partiti per la guerra e mai più ritornati» spiega Renato, che negli ultimi dieci anni ha rintracciato le tombe di 31 astigiani dati per dispersi in tempo di guerra, fra questi anche alcuni Alpini.

Un lungo e paziente lavoro di ricerca condotto in collaborazione con i funzionari della Onorcaduti di Roma che gli ha consentito, in due casi, di riportare quei resti a casa, nel cimitero di Calosso e di Rocchetta Palafea. Grazie al suo interessamento è stato così ritrovato Mario Barbero, nato a Calosso nel 1920 e morto nel 1943 ad El Alamein, in Egitto nel corso della Campagna d’Africa. Il corpo del ragazzo fu seppellito nel Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari. Fu il nipote di Mario Barbero, che porta lo stesso nome dello zio, ad affrontare il lungo viaggio in macchina fino in Puglia da Calosso per recuperare quei resti chiusi in una cassetta avvolta dal Tricolore. Meno fortunati altri due astigiani rintracciati da Grimaldi, ossia i fratelli Giovanni ed Erminio Cerutti, sempre di Calosso. Giovanni in particolare fu fatto prigioniero dall’esercito Astro-Ungarico dopo lo sfondamento di Caporetto e deportato in Cecoslovacchia. «Questo povero ragazzo subì una sorte terribile – racconta Grimaldi – perché nel campo di prigionia morì di fame, insieme a migliaia di altri nostri connazionali. Lo abbiamo ritrovato nel cimiero militare italiano di Milovich, dove riposano 4 mila soldati. Grazie ai registri lì conservati scoprimmo che fu tumulato in una tomba, la 104, con altri tre uomini. Impossibile quindi il riconoscimento e il rimpatrio». Stessa sorte per il fratello Erminio morto a Rodi.

Anche la famiglia di Mario Ferro ha potuto finalmente scoprire, dopo anni di oblio, dove piangere il proprio congiunto. Il ragazzo morì nel 1943 nell’Ospedale di Kantemirovka, in Russia. Fu sepolto insieme ad altri commilitoni in una fossa comune sulla quale oggi sorge un piazzale cementato per il deposito delle corriere. Incredibile fu invece la storia di Mario Fogliati, scoperta grazie alle ricerche di Grimaldi. Per anni la famiglia di Fogliati, sempre di Calosso, visse con l’idea che il proprio caro fosse disperso in guerra. Nessuno poteva immaginare che invece il ragazzo morì a pochi chilometri da loro, a Canelli. Il giovane fu ferito nel corso della Prima Guerra Mondiale. Curato malamente, gli fu accordata una licenza per il rientro a casa ma scendendo dal treno alla stazione di Canelli cadde rovinosamente e morì. Con sé non aveva documenti, solo una piastrina che recava il nome ma non il luogo di provenienza. Le autorità dell’epoca si limitarono a comunicare l’accaduto al comando militare e il giovane venne sepolto in una fossa. Nessuno poteva immaginare che la famiglia di quel soldato in realtà risiedeva a pochi chilometri di distanza. «Per me è un dovere e un onore cercare questi ragazzi e a dispetto del tempo e delle scartoffie burocratiche fare in modo di riportarli a casa, almeno da morti – conclude Grimaldi – Questi ragazzi hanno dato la loro vita per la Patria e per la nostra libertà. E’ giusto seppellirli in quel pezzetto di terra per la quale hanno combattuto».

 

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