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Sport

Matteo Piano, campione globale del volley dalle mille passioni

Il leader di Milano, argento olimpico a Rio 2016, si racconta in attesa di tornare in palestra per gli allenamenti

Matteo Piano, campione globale del volley dalle mille passioni

Ritrovare sulle nostre pagine Matteo Piano, Nazionale del volley medaglia d’argento olimpica, è un toccasana: per un attimo il suo sorriso contagioso e la sua dialettica vivace ci permettono di mettere in un cassetto la tristezza e l’apprensione. Il COVID-19 è l’incubo di primavera per il mondo intero, un dialogo “a tu per tu” col capitano della Milano del volley rappresenta una boccata d’aria in un cielo denso di nubi. Sono settimane di quarantena per tutti, sportivi e non, i Giochi Olimpici di Tokyo si svolgeranno l’anno venturo, e il centrale sbocciato ad Asti può quindi concentrarsi sulla fase di recupero da un brutto infortunio, dando sfogo ai suoi mille interessi. Il personaggio Piano risulta interessante e intrigante per motivi molteplici: ha la spensieratezza e la naturalità dell’anti-personaggio e la capacità di amare la pallavolo ma al contempo curare parecchi altri progetti. Non è mai scontato, dà la sensazione di riuscire ad avere successo in molti campi grazie alla sua energia positiva. Un Re Mida camaleontico dal carattere dolce, amato trasversalmente dalla sua città di origine ma anche dall’universo del volley, a prescindere dalla maglia che indossa.
Matteo, come si vive da atleta questo periodo di emergenza e tanta apprensione?
«Sono a casa a Milano, e onestamente sento la nostalgia di Asti. La campagna, l’aria aperta, mentre qui vivo in città. Sono settimane difficili, la mia quarantena è iniziata subito perché la Lombardia è l’epicentro del virus, ma il Piemonte è divenuto presto zona rossa. Mi sento quindi con voi e come voi, in ansia ma con la speranza che questo incubo possa presto finire».
Qual è la difficoltà psicologica maggiore nell’affrontare il COVID?
«A livello mentale è difficile affrontarlo perché è un incubo che non si sa quando potrà concludersi. Lo paragono sportivamente a un grave infortunio di cui non si conoscono i tempi di recupero. Se non si vede un traguardo è facile cadere nello sconforto».

Davide Chicarella

Articolo completo sull’edizione di martedì 7 aprile, consultabile anche in digitale

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