Il Palio come la vita
Il Palio è un po’ come la vita: dà e toglie, illude e abbatte, innalza e affonda…
Lo sa bene Giovanni Atzeni, fantino che negli anni ha saputo con umiltà, caparbietà e carattere costruirsi la fama di instancabile lottatore. La sua è una monta forsennata, fisica, ma non sconsiderata, in quanto ricca di tecnica, freddezza e continuità. Mai lasciata al caso: sempre ragionata anche nei frangenti più scabrosi.
La Cena Propiziatoria
Tittìa, questo il soprannome di Giovanni, in occasione della Cena Propiziatoria della Giraffa svoltasi la sera precedente il Palio di Provenzano, era andato contro le sue abitudini. Lui, abitualmente silenzioso, aveva parlato al popolo biancorosso aprendo il suo cuore ed esternando ciò che si portava dentro. Alla gente della Giraffa aveva lasciato intendere di essere arrivato ad un bivio.
Vincere per risalire
Doveva vincere per risalire, per ridare fiato ad una carriera priva di un successo in Piazza del Campo dall’agosto 2015, quando Atzeni trionfò per la Selva su Polonski. Nelle gerarchie paliesche un nuovo passaggio a vuoto avrebbe potuto avere inevitabili ripercussioni. Ma, come ogni grande campione, Tittia ha saputo riemergere da leone da una situazione assai complicata, disputando un Palio fenomenale.
Tale e Quale
Lui ed il suo Tale e Quale, baio oscuro di sette anni con una sola precedente presenza sotto la Torre del Mangia, hanno interpretato la corsa con la calma dei forti. Il mossiere Bartolo Ambrosione nel consueto “silenzio assordante” ha aperto la busta chiamando le Contrade al canapo in quest’ordine: Aquila (Carlo Sanna su Renalzos); Chiocciola (Jonatan Bartoletti su Violenta da Clodia); Pantera (Luigi Bruschelli su Sorighittu); Torre (Elias Mannucci su Rocco Nice); Onda (Antonio Siri su Tabacco); Giraffa (Giovanni Atzeni su Tale e Quale); Selva (Andrea Coghe su Remistirio; Bruco (Andrea Mari su Solu Tue Due); Drago (Federico Arri su Remorex) e di rincorsa la Civetta, con Giosuè Carboni su Porto Alabe.
Mossa travagliata
Mossa complicata, nervosa, con Aquila e Pantera a marcarsi stretto così come Onda e Torre. Ambrosione faceva uscire quattro volte i cavalli, cercando almeno una parvenza di allineamento, mentre una volta abbassava (ed annullava) in seguito ad una forzatura a centro schieramento. Poi la mossa buona (buona?) con la Torre che restava lì, pietrificata, e Bartoletti ed Atzeni che si fiondavano verso il primo San Martino davanti a tutti.
L’ultimo Casato
Dietro Arri e Mari attendevano l’errore di chi li precedeva per infilarsi, ma Scompiglio e Tittia non concedevano agli inseguitori neppure le briciole (da intendersi quali spazi per passare). La linearità della corsa non lasciava neppur lontanamente presagire quello che sarebbe successo subito dopo l’ultima curva del Casato: Bartoletti, fantino della Chiocciola, la attaccava a tutta, andando a toccare la balaustra esterna e rallentando appena il suo galoppo.
La “stoccata mortale”
Atzeni, che fino a quel momento aveva cercato di far “svitare” la testa al suo rivale proponendosi ora all’esterno ora all’interno, piazzava la stoccata mortale. Si infilava di dentro e sfruttando il gran motore di Tale e Quale fulminava sul bandierino, d’una testa, Bartoletti. Attimi di tensione prima della conferma dei giudici della vittoria della Giraffa.
Una regola non scritta
Avevamo iniziato dicendo che il Palio dà e toglie: nel 2012, ad agosto, Bartoletti vinse per il Montone su Lo Specialista beffando d’un nulla, sul palo, Atzeni, in rimonta per la Tartuca con Indianos. Sette anni dopo le parti si sono invertite: la regola, non scritta, del prendersi quello che ci era in precedenza stato tolto, ha trovato conferma.
E’ stato il Tale e Quale show, parafrasando il titolo di una seguita trasmissione televisiva, che ha proiettato la Giraffa in Paradiso, anche se il vero show lo ha fornito lui, Giovanni Atzeni, 34 anni, il samurai che con la vittoria di Provenzano ha “risistemato i puntini sulle i” riaffermando valori che rischiavano di traballare.
Bravo Federico Arri
E’ bello e doveroso ricordare in chiusura lo splendido Palio disputato da Federico Arri su Remorex nel Drago: una corsa a ridosso dei primi due, fatta di traiettorie pennellate e caratterizzata da una monta figlia di una tecnica indiscutibile. Per Ares è stato il Palio della svolta: la conferma della raggiunta maturità.