Gli eventi che hanno caratterizzato, nelle ultime settimane, la politica nazionale, mi spingono a condividere con voi, cari concittadini, alcune mie considerazioni personali.
Quello che da tempo stava già succedendo a livello locale, ora mi sembra che si stia estendendo con irruenza e velocità impressionanti anche a livello nazionale. Se a livello locale, infatti, già da tempo non appaiono più molto definiti gli orientamenti all’interno dei vari schieramenti ed i confini entro i quali gli stessi si muovono (questo è dovuto in parte al peso crescente delle liste civiche e, soprattutto, alla fiducia che il cittadino ripone più sulla persona del candidato, che magari ha il piacere di conoscere direttamente, che su una lista di sconosciuti, rimanendogli fedele magari anche in caso di cambio di schieramento e finendo quindi per votare per chi si candida in una lista diversa da quella per la quale si vota abitualmente alle elezioni politiche, per i propri rappresentanti cioè alla Camera e al Senato), ora anche a livello nazionale la situazione appare ingarbugliata e tutto sembra possibile.
In questa ultima legislatura, infatti, che doveva cambiare in meglio il nostro Paese, cancellando tutte le imperfezioni del sistema e puntando sulla reale competenza, si è assistito invece al “peggio del peggio”.
A parte il numero record di parlamentari che in una legislatura abbiano cambiato in corsa la ‘casacca’ e l’evidente scadente livello di preparazione di una classe dirigente, forse il più basso che questo Paese abbia mai conosciuto, che ha toccato persino le posizioni più alte nei ministeri (alla faccia di quella ‘meritocrazia’, che doveva essere il filo conduttore del “nuovo che avanza…”), la cosa più incredibile e sotto gli occhi di tutti appare la facilità e la superficialità con cui un po’ tutte le parti politiche, spinte dai propri interessi più che da quelli della collettività, abbiano mutato la propria posizione, cambiando idee, programmi e schieramenti con la disinvoltura con cui si cambia una cravatta.
Non ricordo di aver mai sentito dire così tanti MAI! o NO! che, a distanza di poco tempo, come le bugie che hanno le gambe corte, sono stati subito dopo ritrattati ed oltretutto senza ritegno, incuranti del fatto che, vivendo ormai in una società multimediale, in un secondo si riescono a recuperare le dichiarazioni fatte in precedenza da ognuno di noi. Basti pensare alle peripezie dei due governi Conte… Il primo, tra 5 Stelle e Lega, fin da subito ci ha proposto un premier ‘dimezzato’ da due vice, che nella realtà esercitavano il potere esecutivo, dividendosi le politiche da attuare e l’agenda. Sulla base di questo governo “gialloverde”, nascono quota 100 e il reddito di cittadinanza. I calcoli sbagliati di Salvini, convinto di far cadere in estate il governo e di andare subito al voto, senza fare i conti con i dettati costituzionali e con le prerogative del Presidente della Repubblica, ci hanno regalato la prima crisi.
Il Conte due, “giallorosso”, nasce dopo il “Mai con il partito di Bibbiano!” dei pentastellati ed i feroci diktat contrari ai ‘grillini’ del Pd, ma soprattutto senza un programma, basandosi solo sul “NO a Salvini!”. Si va al governo cioè non per risolvere i problemi o fare le cose giuste, ma per impedire ad un altro, che pure è stato votato da milioni di italiani, di governare, adducendo addirittura la motivazione che comprometterebbe la democrazia e i rapporti con l’Europa… ma chi lo ha detto? Di sicuro non i cittadini, che da dieci anni non riescono ad avere un premier indicato in campagna elettorale dalla coalizione che ha vinto le elezioni! Il Conte due, che annoverava alcuni ministri che per la loro impreparazione avrebbero fatto una pessima figura persino in una pacata assemblea di condominio, è rimasto in vita fino ad ora grazie alla decretazione d’urgenza e all’emergenza Covid.
Un’emergenza sanitaria e una conseguente crisi economica, combattute con scelte spesso incomprensibili (dai banchi a rotelle ai monopattini, per non parlare di “Immuni”, degli scandali mascherine o degli insufficienti e spesso in grave ritardo sussidi a chi è stato danneggiato…), che hanno consentito a Conte & C. di vivacchiare fino a quando qualcuno, ricordandosi di un’intenzione palesata già mesi prima della pandemia, ha avuto il coraggio di staccare la spina e di girare pagina. Il “mercato delle vacche” che ne è poi nato in Parlamento (ricordiamoci che in passato, sotto altre maggioranze, su eventi simili intervenne addirittura la magistratura e i “responsabili” di allora vennero messi alla gogna mediatica, quando non addirittura accusati di vari infamanti reati), ha confermato il “trasformismo” come sport nazionale e palesato fin dove siano disposti ad arrivare alcuni dei nostri parlamentari, disposti a tutto pur di salvare la poltrona.
Questi però, piegando ignobilmente ai propri interessi le parole del Capo dello Stato, sono stati battezzati addirittura “Responsabili” o “Costruttori”, nella speranza, fortunatamente disattesa, che contribuissero a creare il Conte Ter, l’ennesimo abominio (e qui, indicare un colore, sarebbe stato davvero impossibile!)
Ed eccoci ai fatti di questi ultimi giorni… È vero: il voto anticipato avrebbe potuto consentire ai cittadini di esercitare il loro principale diritto… ma a che prezzo? A quali e in quali condizioni? E con quali conseguenze? Non mi sembra però accettabile che si dica che “con il Covid non si può votare…”, perché lo stanno facendo in altri stati in Europa e fra pochi mesi lo faranno milioni di cittadini italiani, chiamati a rinnovare molte amministrazioni locali, dopo aver votato già per i referendum.
Ed allora cerchiamo di essere tutti più corretti e sinceri e diciamoci che non si vota solo perché ci sarebbe stato il serio rischio di perdere delle importanti opportunità, un sacco di soldi europei e, probabilmente, di essere schiacciati dalla speculazione economica. Da qui discende l’unica cosa possibile da fare, che si è rivelata fin qui la scelta vincente e lungimirante del Presidente Mattarella: chiamare l’italiano che per merito, esperienze ed attività svolte gode della maggiore considerazione e credibilità a livello internazionale: il prof. Mario Draghi.
Il prof. Draghi, sì, quello del “whatever it takes” (“ad ogni costo!”), che salvò già una volta non solo noi e la nostra sgangherata economia, ma l’euro e l’idea stessa di un’Europa unita, una professionalità di alto profilo che a mio modesto parere sembra essere l’unico a potercela fare. Perché? Perché l’ammirazione e la fiducia internazionale di cui gode gli consentiranno di operare con maggiore serenità e profitto (pensiamo già solo agli effetti che l’accettazione dell’incarico da parte sua ha prodotto sullo spread e sui titoli di Stato e persino sulla borsa italiana, con un sospiro di sollievo di milioni di risparmiatori italiani, che tirano un po’ il fiato dopo le perdite degli ultimi anni). Perché ha le competenze per cercare di farsi trasferire le risorse promesse dall’Europa, presentando un piano diverso dall’aborto precedentemente stilato (di cui in certi momenti non si capiva neppure la paternità e la cui inconsistenza è stata la causa principale della caduta del precedente governo) e soprattutto potrà cercare di spendere questi oltre duecento miliardi di euro per quello che veramente serve al nostro Paese (investimenti, lavoro, infrastrutture, tecnologia, istruzione, formazione, ambiente…), evitando i due errori peggiori che fino ad ora noi italiani abbiamo sempre commesso: o non siamo stati in grado di spendere le risorse che ci venivano assegnate o siamo riusciti a buttare via un mare di soldi in spesa improduttiva.
Perché, infine, le forze politiche che lo appoggeranno all’inizio non potranno staccargli la spina poi e macchiarsi dell’omicidio del Paese, ma dovranno tutte ingoiare qualche rospo e rinunciare a qualcuno dei propri “cavalli di battaglia” (dimenticandosi i vari “mai con…”). Ora, tutti insieme dovranno cercare di assecondare il super Mario nazionale nella sua azione di governo, facendo convergere sulla sua agenda programmatica le esigenze dei singoli partiti e delle varie forze politiche che si saranno piegati alle necessità imposte da un momento storico quanto mai difficile. L’unica eccezione a quest’adesione incondizionata sembra essere quella di Giorgia Meloni, una persona che stimo per la sua onestà e coerenza, ma che con il suo “no o forse…” mettendosi strategicamente in condizione di rappresentare quella parte di Paese che non si riconoscerà in questo progetto, forse perderà per questo un’irripetibile occasione (e solo il tempo dirà chi ha avuto ragione…).
Continuando la mia personale pagella dei protagonisti di questa vicenda, mi appaiono finalmente irrilevanti i cosiddetti “costruttori”, gli eterni coccodrilli sopravvissuti alla Prima Repubblica; dieci e lode invece a Renzi, che probabilmente aveva fin dall’inizio ben chiaro il suo obiettivo e dove voleva arrivare; bene Salvini (e Giorgetti…) che con il suo sì improvviso e incondizionato ha spiazzato un po’ tutti, non tradendo il ceto medio del Paese, che costituisce un fetta importante del suo elettorato e che sta davvero soffrendo, recuperando con questa mossa il clamoroso errore commesso nel pensare di andare al voto con la fine del Conte uno; senza anima infine il Pd, capace di farci rimpiangere i tempi in cui il partito comunista aveva una visione che, pur non condivisa, meritava rispetto e offriva un’alternativa credibile. Un Pd che sembra un pugile suonato che sta prendendo colpi da tutte le parti quando invece, con la sua storia, con la sua tradizione, con la preparazione di molti dei suoi esponenti principali, dovrebbe essere lì a condurre le danze e non a farsi condurre, come una fanciulla riottosa e un po’ bisbetica.
Per ultimi lascio ‘loro’: il fallimento di questa legislatura, l’incoerenza e l’incompetenza eletti a programma, coloro che in questi anni hanno fatto tutto ed il contrario di tutto e sono diventati esattamente tutto quello che hanno sempre combattuto, addirittura amplificato all’ennesima potenza, lacerati nelle loro mille anime e lì a sostenere un governo tecnico-politico (anche qui i “mai… si sprecavano…), per evitare delle elezioni che lascerebbero a casa più dell’ottanta per cento dei suoi parlamentari. Se questo è il nuovo che avanza…
Spero vivamente che Draghi sfrutti quest’occasione, unica, irripetibile di governare con competenza (dote che sicuramente ritroveremo anche nella maggior parte dei suoi ministri), senza condizionamenti esterni e prendendo finalmente le decisioni che servono al Paese e non quelle che servono ad ampliare clientelismi e ad attrarre consensi (che arriveranno sicuramente, comunque, in caso di un buon lavoro), con una quantità di risorse che non si vedevano dalla seconda guerra mondiale e che, se ben spese, potranno risollevare la nostra amata Italia. A tal proposito, in attesa di capire in che modo i territori saranno interessati dal governo centrale, cioè se lo Stato si occuperà dell’intera partita dei ‘recovery fund’ o se in un qualche modo coinvolgerà le regioni, che a loro volta dovranno interfacciarsi con le province, ritengo molto importante il Tavolo di sviluppo che in questi giorni si sta riunendo e che potrà, se ben sfruttato, fornire importanti spunti e progettualità grazie alla collaborazione e all’apporto di tutti i suoi partecipanti (istituzioni, associazioni di categoria, organizzazioni sindacali, ordini professionali, aziende, istituti scolastici, università ecc.) e, se necessario, coinvolgendo anche delle professionalità specializzate per trasformare le numerose idee in un documento organico ed attuabile.
Non nascondo che, come accadrà a livello nazionale (almeno me lo auguro), dove molti metteranno da parte (per convinzione o convenienza) differenze e distinguo, per il bene del Paese, mi piacerebbe un maggiore coinvolgimento di tutte le forze politiche, anche a livello locale. Ho più volte detto che la collaborazione, seppur nel rispetto dei ruoli, non avrebbe potuto che giovare alla città. Non ci siamo riusciti in passato, nonostante le numerose sollecitazioni ed il fatto che alcuni, singolarmente, a ciò si siano prestati e mi auguro che si possa fare ora.
Ho invitato pertanto tutte le forze presenti in consiglio comunale ad un primo incontro, a cui se necessario potranno seguirne altri, per confrontarci su temi, programmi, obiettivi e opportunità da sfruttare nei prossimi anni, per cercare di lasciare una città migliore a chiunque sia chiamato in futuro ad amministrarla.