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Economia
Sindacato

Premio di risultato ridotto ad un papà in congedo: azienda condannata per discriminazione

A commentare la sentenza del Tribunale di Asti il segretario generale della Cgil Asti Luca Quagliotti e l’avvocato Massimo Padovani

È con un decreto del 7 dicembre scorso che il Giudice del Lavoro del Tribunale di Asti Elisabetta Antoci ha dichiarato la natura discriminatoria di un accordo aziendale sul premio di risultato. Accordo che aveva stabilito la riduzione dell’incentivo per assenze dovute a maternità e paternità facoltativa.
Il caso, sottoposto al vaglio del Foro astigiano, era quello di un papà che, avendo usufruito nel 2018 di un periodo di astensione per congedo parentale, si era visto riconoscere dall’azienda un premio di risultato decurtato di oltre il 60%. E questo perché l’accordo istitutivo del premio indicava – quali ragioni di una sua riduzione – le assenze dovute a malattia, infortunio causato da mancato uso dei dispositivi di protezione individuale, aspettativa non retribuita e, appunto, maternità e paternità facoltativa.
In base all’art. 38 del Codice delle Pari Opportunità (D. Lgsl. 198/2006) il Giudice Antoci ha, però, dichiarato discriminatorio quanto stabilito dall’accordo aziendale. Inoltre, ha stabilito che lo stesso violava l’art. 25 comma 2-bis dello stesso Codice nel quale si afferma che «costituisce discriminazione (…) ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità o dell’esercizio dei relativi diritti».
A parlare della vicenda, nei giorni scorsi in occasione di una conferenza stampa on line, il segretario generale provinciale Cgil Luca Quagliotti e Massimo Padovani, legale del sindacato.

Le parole dell’avvocato

«Si tratta di un articolo importante – ha sottolineato Padovani – in quanto ha introdotto nel nostro ordinamento un nuovo fattore di protezione che consiste nello status di “genitore”, fattore diverso e trasversale rispetto alla discriminazione basata sull’appartenenza ad un determinato sesso».
L’interpretazione del giudice è stata contestata dai legali dell’azienda, secondo i quali il Codice delle Pari Opportunità fa riferimento esclusivamente alle discriminazioni fondate sul genere: per questa ragione, dunque, il comma 2-bis dell’art. 25 sarebbe da intendersi sempre e comunque applicabile a discriminazioni in rapporto al genere dettate da ragioni di maternità o paternità, ma comunque sempre di “genere”, sottolineando in tal modo che tutti i precedenti giurisprudenziali hanno avuto ad oggetto discriminazioni nei confronti delle lavoratrici madri.
Il giudice, invece, accogliendo la tesi del lavoratore difeso dall’avvocato Padovani, ha evidenziato come tale comma è stato introdotto nell’impianto originario del Codice delle Pari opportunità con il D. Lgsl. 5/2010 (che recepiva la Direttiva 2006/54/CE) che, nei “considerando” e negli artt. 9, 15 e 16, fortifica l’interpretazione letterale della norma. E, cioè, che il divieto di discriminazione per ragioni connesse al sesso è esteso anche alla genitorialità. Lo status di genitore viene, dunque, considerato un fattore autonomo di protezione dell’ordinamento vigente.
Nel caso specifico il giudice ha, inoltre, confermato che si è trattato di discriminazione diretta, in quanto la regola della riduzione del premio per assenze per maternità o paternità facoltativa colpisce direttamente i lavoratori appartenenti alla categoria protetta, ovvero i lavoratori “genitori”.

Il commento di Luca Quagliotti

«La pronuncia di questa sentenza – ha dichiarato Luca Quagliotti – rappresenta una novità, in quanto riguarda un “papà” discriminato. Non solo. L’interpretazione del Tribunale di Asti aderisce in pieno agli obiettivi del modello sociale europeo, che prevede la ridistribuzione equilibrata tra i sessi delle responsabilità nella famiglia, e con le misure rivolte ad incoraggiare la partecipazione degli uomini alle funzioni genitoriali. Sappiamo che anche in altre aziende sono stati siglati accordi per premi di risultato di questo tipo, e che molti dipendenti preferiscono non portare avanti la vertenza per poche centinaia di euro. In questo caso, invece, il lavoratore ha preferito proseguire per una questione di principio».
«Ci auguriamo – ha concluso – che questa sentenza agevoli l’uso dei congedi parentali da parte dei papà che, troppo spesso, si sentono discriminati quando fanno valere questo diritto. Rinunciando così al congedo a favore delle madri, con un danno per entrambi».

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