«Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita». Sono i primi versi della Divina Commedia di Dante Alighieri ed è la terzina che rappresenta l’incipit del primo Canto dell’Inferno e, dunque, dell’intera opera. I versi più famosi della storia della letteratura mondiale, conosciuti e ricordati da tutti, anche da chi non è particolarmente legato agli studi letterari, ed entrati persino tra le più diffuse citazioni e modi di dire. Ricorre quest’anno un importante anniversario legato al Sommo Vate, universalmente riconosciuto come il Padre della lingua italiana. Sono trascorsi infatti 700 anni dalla sua morte, avvenuta all’età di 57 anni nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 a Ravenna, ultimo dei suoi soggiorni dopo l’esilio da Firenze nel 1302.
Proprio in vista delle celebrazioni per il 700esimo anniversario della morte del Poeta, lo scorso anno, il 17 gennaio 2020, è stato istituito per il 25 marzo il “Dantedì”, la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri: «La data è quella che gli studiosi riconoscono come inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia ed è l’occasione per ricordare in tutta Italia e nel mondo il genio di Dante, con tante iniziative, anche on line, organizzate dalle scuole, dagli studenti e dalle istituzioni culturali», sottolinea il Ministero della Cultura. Allo studio di Dante, poeta, scrittore e figura dal forte impegno politico nella Firenze del ‘300 (egli era rappresentante della fazione dei Guelfi, contrapposti ai Ghibellini) si sono dedicati nel corso del tempo anche studiosi dalle origini astigiane o che nell’Astigiano hanno lasciato un’importante impronta che sopravvive ancora oggi. L’insegnante canellese Valentina Petrini ci racconta Giambattista Giuliani, tra i maggiori dantisti dell’800 e anch’egli canellese; e Gianfranco Medici ci parla della terzina del Purgatorio interpretata dal Conte Paolo Ballada di Saint Robert che visse a Castagnole Lanze e fece costruire la Torre panoramica oggi sede del museo a lui dedicato.
Gli studi di Valentina Petrini su G. B. Giuliani
«La mia curiosità per Giuliani è nata per caso, quando ero molto piccola e, come tanti canellesi, frequentavo la scuola elementare G. B. Giuliani, ancora nella sua antica sede. Lì ho conosciuto per la prima volta Giuliani: un busto in bronzo che fissava i nostri giochi di bambini. Così un giorno mi sono ripromessa che “da grande” avrei cercato di conoscere qualcosa in più sull’uomo che aveva dato il nome alla mia scuola». Valentina Petrini, giovane insegnante di Canelli, da nove anni si interessa di Giambattista Giuliani, canellese vissuto tra il 1818 e il 1884, tra i maggiori linguisti italiani dell’800 e colui che «aprì la strada a un nuovo metodo per commentare la Commedia dantesca».
«Durante una lezione di Linguistica italiana all’università la mia professoressa, parlando degli studiosi che nel corso dell’Ottocento si erano interessati della lingua toscana, citò un tal Giambattista Giuliani. Io inizialmente non ricollegai subito quell’illustre letterato al mio compagno di giochi, ma prendendo appunti, inconsapevolmente, abbreviai Giambattista in G. B. e in quel momento è iniziata la mia grande avventura», racconta Valentina Petrini, oggi insegnante nella sede canellese dell’Istituuto “Artom”. A Giuliani ha dedicato la tesi triennale, la tesi magistrale, una bibliografia ragionata di alcune delle opere più importanti dello studioso, e la tesi di dottorato, discussa sotto la guida del professor Claudio Marazzini, Presidente dell’Accademia della Crusca, presso l’Università del Piemonte Orientale conseguita lo scorso anno con la valutazione di “eccellente cum laude”.
«Il problema principale che fin da subito mi si è presentato è stato quello della mancanza di una bibliografia critica su Giuliani: gli ultimi studi interamente dedicati a lui risalgono infatti agli anni ‘20 del Novecento. Ho quindi dovuto rimboccarmi le maniche e andare negli archivi, nelle biblioteche, alla ricerca di documenti. Quello che inizialmente credevo sarebbe stato il limite più importante si è in realtà rivelata essere la mia fortuna più grande: ho scoperto un mondo magico, quello degli archivi, e da allora ho ritrovato quasi 400 lettere scritte da Giuliani, conservate in numerosi archivi e biblioteche italiani ed esteri; ho rimesso insieme un breve carteggio da Giuliani a Manzoni e riscoperto il sistema che sottostà alla compilazione di uno dei più importanti dizionari italiani dell’Ottocento, il Tommaseo-Bellini. La mia scoperta più importante però, quella a cui sono maggiormente legata, riguarda la copia della Commedia che Giuliani postillò per quasi trent’anni. Giuliani fu un grande dantista, uno studioso di fama internazionale, ma non riuscì mai a dare alle stampe un commento integrale al poema dantesco. Nel 2013 mi sono messa sulle tracce di quel volume, che alla fine delle mie ricerche sono riuscita a trovare alla Biblioteca Antica del Seminario Vescovile di Padova, in un fondo dantesco non catalogato».
Ha provveduto lei stessa a finanziare l’operazione di restauro del volume, compiuto dalla professoressa Melania Zanetti dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Nel 2016 ha fatto da tramite per l’acquisto da parte del Comune di Canelli di alcuni documenti che rappresentano quel che rimane dell’archivio dello studioso. Quei documenti sono stati oggetto di un suo volume, presentato a Canelli in occasione dei 200 anni della nascita di Giuliani. La professoressa Petrini ha inoltre partecipato ad importanti convegni, anche a carattere internazionale.
«Con i miei allievi della classe terza sto affrontando lo studio della Commedia e, in particolare del lessico dantesco, l’eredità più grande che Dante ci abbia lasciato: quasi il 90% delle parole che attualmente adoperiamo sono già presenti all’interno del poema. Credo che la modernità di Dante stia in questo: essere ancora attuale sia per quanto riguarda i temi sia per quanto riguarda la lingua. Non c’è persona che nei versi di Dante non si ritrovi o non ne rimanga affascinato: ne sono una prova i miei alunni che tra un tema sui videogiochi e uno su Dante preferiscono il secondo».
Chi era Giambattista Giuliani
Nato a Canelli il 4 giugno 1818, il 20 luglio 1836 prese i voti ed entrò nell’ordine dei Padri Somaschi. Compiuti i primi studi ad Asti, Giuliani si applicò allo studio della Matematica e della Logica e a soli vent’anni, nel 1838, venne nominato professore di Filosofia razionale presso il Collegio Clementino di Roma. L’anno seguente a Lugano gli fu affidata la cattedra di Filosofia al Collegio di Sant’Antonio. «Qui conobbe un altro piemontese, il padre Marco Giovanni Ponta, appassionato cultore della lingua di Dante. Giuliani si avvicinò così agli studi danteschi, facendo sua l’idea di commentare la Commedia attraverso i riferimenti alle altre opere del Poeta». Dall’agosto 1841 la salute cagionevole lo indusse a ritirarsi a Cherasco. Quindi un soggiorno a Napoli, a beneficio della sua salute; quindi a Roma e poi a Genova. Nel 1859 si stabilì a Firenze, dove morì l’11 gennaio 1884.
Gianfranco Medici racconta di come il Conte Ballada spiegò una terzina del Purgatorio
Uno scienziato eclettico, una figura di grande sapere e versatilità, studioso di matematica, fisica, meccanica, botanica, entomologia, astronomia; ma anche un appassionato alpinista. È questa un’estrema sintesi dei fronti di studio a cui si dedicò il Conte Paolo Ballada di Saint Robert, nativo di Verzuolo, che tra il 1878 e il 1884 visse a Castagnole Lanze, lasciando concrete testimonianze della sua straordinaria figura, messe in rilievo, e in parte anche recuperate, dall’Associazione Torre del Conte Paolo Ballada di Saint Robert guidata da Gianfranco Medici.
L’amore per il sapere e la curiosità del Conte si spinsero fino all’interpretazione di una terzina della Divina Commedia di Dante.
“I’ mi volsi a man destra, e puosi mente a l’altro polo, e vidi quattro stelle non viste mai fuor ch’a la prima gente”: sono i versi 22-24 del Canto I del Purgatorio e, grazie alle sue conoscenze di astronomia e matematica, il Conte Ballada colse il significato delle parole di Dante, spiegando in esse il riferimento alla costellazione della Croce del Sud. «Il Ballada sosteneva che Dante si compiacesse nel mostrare la sua conoscenza in campo astronomico e riteneva che molti passaggi della Divina Commedia non potessero essere compresi senza l’aiuto di questa disciplina. È il caso della terzina in questione, della quale il Ballada ha fornito una spiegazione di carattere scientifico assai diversa da quella di molti commentatori del capolavoro dantesco. Questi ultimi, infatti, hanno riconosciuto nelle “quattro stelle” ricordate da Dante le quattro virtù cardinali onorate dagli antichi e poi dimenticate nel corso dei tempi – spiega Gianfranco Medici nel suo lavoro “Note biografiche sul Conte” per Il platano, rivista di cultura astigiana, consultabile anche sul sito internet dell’associazione nella sezione “Pubblicazioni” – Il Saint Robert, invece, precisa che le “quattro stelle non viste mai fuor ch’a la prima gente” esistevano nella realtà e non soltanto nell’immaginazione e fornisce un’ampia spiegazione scientifica di quello che è un fenomeno astrofisico».
«Considerando la direzione dell’asse della Terra rispetto alle stelle, cambia la posizione dell’orizzonte di ciascun luogo, come spiega il Saint Robert: nuove stelle diventano visibili e altre invisibili. In riferimento al fenomeno della processione degli equinozi, quaranta secoli fa la costellazione della Croce australe splendeva nel firmamento settentrionale: e proprio in virtù dell’anticipo degli equinozi, quelle stelle, oggi visibili al di là dell’Equatore, in un lontano passato erano visibili dai primi abitanti del nostro Continente (“la prima gente”) anche alle nostre latitudini», spiega Medici. Per rendere più chiara la spiegazione del passo di Dante, il Ballada propose anche un grafico relativo alle costellazioni della Croce australe e di Sirio.
A Castagnole Lanze la torre e il percorso museale nel Parco
Castagnole Lanze non ha dimenticato il Conte scienziato che visse in paese tra il 1878 e il 1884. Sei soli anni di permanenza che hanno lasciato un segno importante, tanto che in omaggio alla figura di Paolo Ballada di Saint Robert e per valorizzarne la figura è attiva un’associazione, che molte iniziative ha attuato negli ultimi anni.
Al Conte Ballada a Castagnole è dedicato un museo, nella torre panoramica che egli stesso fece costruire nel 1880, curato dall’omonima associazione; ma anche un percorso museale nel Parco della Rimembranza che si estende intorno alla torre, sulla sommità del centro storico castagnolese, e la scultura dell’artista castagnolese Marcello Giovannone. Il “Cont di babj” (gli insetti), come veniva chiamato in paese per la sua passione per l’entomologia, fece costruire la torre, alta 14 metri, dalla quale poter ammirare l’intera catena alpina dal Monte Rosa alle Alpi Marittime. Egli era infatti un appassionato alpinista, tra i fondatori del Cai: e quattro pannelli di grandi dimensioni sono stati collocati dal Cai e dall’associazione dedicata al Conte per individuare i borghi e le vette all’orizzonte. Oltre cento cime sono visibili dal Parco.
Di grande pregio la torre panoramica, ristrutturata negli anni passati dal Comune e diventata sede del museo dedicato al Conte e ai suoi studi. Il percorso di visita prevede la salita fino in cima alla torre, da cui si può godere una vista mozzafiato delle colline tutt’intorno fino alle montagne. L’associazione Torre del Conte Paolo Ballada di Saint Robert, guidata da Gianfranco Medici, cura il museo, occupandosi anche della manutenzione e pulizia degli arredi del parco comunale, delle visite guidate e delle ricerche sul Ballada.
Sul sito internet dell’associazione, nella sezione “Pubblicazioni”, si ha infatti la possibilità di consultare un’ampia documentazione sugli studi e sulla figura del Ballada. Tra questi, il saggio biografico sul Conte di Gianfranco Medici, pubblicato su Il Platano 2013; il lavoro del professor Abramo Spinella sulle teorie balistiche del conte Ballada in riferimento alla disfatta di Caporetto della Prima guerra mondiale, pubblicato sulla rivista Il Platano 2019 della Società di Studi Astesi, secondo il quale «avremmo potuto non essere colti di sorpresa dai risultati ottenuti dai Tedeschi grazie alle “sue” tabelle di tiro e forse ridimensionare i terribili danni della disfatta di Caporetto»; dagli atti del congresso SISFA di Acireale, l’invenzione del Conte per misurare l’altezza delle montagne e, dagli Atti del congresso di Roma (La Sapienza) SISFA 2012, la presentazione di due lavori relativi al problema dei ghiacciai, in cui gli studi sul clima da parte del Saint Robert già evidenziavano i problemi di innalzamento della temperatura e del ritirarsi dei ghiacciai alpini; e alla terzina della Divina Commedia, in cui spiegò il significato dei versi del Purgatorio (Canto I, 22-24) e il riferimento alla costellazione della Croce del Sud.
E in occasione delle celebrazioni per i 700 anni della morte di Dante, il festival “Paesaggi e oltre” curato dal Teatro degli Acerbi e voluto dall’Unione collinare che unisce Costigliole, Castagnole Lanze, Coazzolo e Montegrosso, presenterà uno spettacolo in omaggio al Sommo Poeta. E anche il Conte è protagonista nel teatro, attraverso un reading teatrale sulla sua vita e opere, “Il Conte dei rospi: ‘l cunt di babi”, di cui Fiorenza Audenino è autrice dei testi e regista.
Chi era il Conte di Saint Robert
Nato a Verzuolo il 10 giugno 1815, fu professore di balistica alla Scuola di Applicazione di Artiglieria e Genio e direttore dei polverifici di Torino, Genova e Fossano. Si dedicò agli studi di Analisi matematica, Meccanica e Scienze fisiche; fu il maggior studioso italiano del tempo della termodinamica, si occupò di botanica e negli anni in cui visse a Castagnole Lanze sviluppò una grande passione per l’entomologia. Fu inoltre appassionato alpinista, fondatore del CAI insieme a Quintino Sella e Bartolomeo Gastaldi, e fu protagonista della prima ascesa da parte di italiani del Monviso (12 agosto 1863). Morì a Torino il 21 novembre 1888.