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Cronaca
Sentenza

Abusi edilizi a Celle Enomondo: il colpo di spugna della Corte d’Appello

Dopo il sindaco, impresari e proprietari, assolti anche progettista e tecnico comunale

Un colpo di spugna che riporta tutti alla non colpevolezza: è quello che la Corte d’Appello di Torino nei giorni scorsi ha dato sulla complessa vicenda di abusi edilizi a Celle Enomondo che ha tenuto banco al tribunale di Asti con almeno tre distinti procedimenti nati tutti dalla stessa indagine.
L’udienza che si era tenuta la scorsa settimana riguardava il processo “madre”, quello che riguardava appunto le presunte irregolarità in due distinti cantieri del paese.
Per quanto riguarda il primo cantiere, il pm Paone (che ha seguito in prima persona le indagini e ha sempre presenziato senza deleghe alle udienze in dibattimento) aveva contestato che i lavori di demolizione e ricostruzione di una abitazione necessitavano di rilascio del permesso di costruire e non della sola dichiarazione di inizio attività come avvenuto.
Il secondo cantiere, invece, riguardava la chiusura di un terrazzo per il quale la Procura aveva ipotizzato una serie di irregolarità.
In primo grado, il giudice Beconi aveva assolto gli imputati del cantiere del “terrazzo chiuso” (la progettista Monica Omedè, il responsabile dell’ufficio tecnico di Celle Giuseppe Liva, il proprietario Alberto Bruno e l’impresario Marco Cerchio difesi rispettivamente dagli avvocati La Matina, Greppi, Berardi e Calosso). Per l’altro cantiere aveva assolto la proprietaria della casa del secondo cantiere, Fiorella Ponzone (difesa dall’avvocato Emanuela Gerbi) e l’impresario Pier Giuseppe Gai (avvocato Davico), mentre la progettista Monica Omedè e il tecnico Giuseppe Liva erano stati condannati a 15 giorni di arresto e ad un’ammenda di 52 mila euro.
Ebbene, la Corte d’Appello ha riformato la sentenza di primo grado nella parte delle uniche due condanne mandando assolti tutti gli imputati perchè “il fatto non sussiste”.
Questa assoluzione arriva a pochi mesi da quella di maggio in cui, sempre per gli stessi fatti, erano finiti in Appello l’allora sindaco Andrea Bovero, la geometra Omedè e il tecnico comunale Gardino (avvocati Mirate e Zunino) accusati di abuso d’ufficio per aver modifcato il piano regolatore estromettendo un vincolo di conservazione che gravava su tre fabbricati, due dei quali erano quelli al centro del processo “madre”. In primo grado erano stati condannati a pene comprese fra gli 8 e i 12 mesi ma furono assolti dai giudici torinesi.

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