Una storia terribile di quelle che mettono insieme la violenza su una donna, la disabilità della vittima che non può difendersi, l’indifferenza di chi ha assistito e non è intervenuto.
E’ stata ripercorsa in aula di tribunale, davanti al collegio di giudici presieduto dal dottor Giannone con il pm Deodato nei panni della pubblica accusa che ha seguito l’istruttoria di un caso perfetto da “codice rosso”, la procedura d’urgenza introdotta nel 2019 per i reati legati alla violenza in famiglia.
I fatti sono piuttosto recenti: si sono consumati fra dicembre 2020 e gennaio 2021 in un alloggio di Costigliole.
Qui viveva una donna di origine slava che, a causa dei postumi di una grave malattia, ha una parte del corpo paralizzata.
Non può lavorare, vive con la sola pensione di invalidità così ha accettato prima di accogliere in casa una coppia di connazionali che le davano una mano a pagare l’affitto e l’aiutavano nei lavori che non poteva fare a causa della sua disabilità.
A dicembre 2020 ha accettato anche l’arrivo di un altro connazionale che aveva bisogno di avvicinarsi al posto di lavoro. Anche qui con il patto di un aiuto economico.
Ma, nel racconto della donna, quello è stato l’inizio di un incubo.
«Di soldi per aiutare nelle spese non me ne ha mai dati – ha raccontato – ma quello che è peggio, è che da subito mi ha considerata la sua donna. E mi ha usata come se fossi una bambola». La donna ha parlato di ripetute violenze sessuali, anche più volte al giorno, sempre quando l’uomo era ubriaco. Forte del fatto che non potesse difendersi a causa della paralisi, si approfittava di lei e le procurava molto dolore, sia con l’atto sessuale che con i pugni con la quale la colpiva alla testa o ancora quando tentava di strangolarla.
«Non potevo parlarne con nessuno perché non mi lasciava uscire, non voleva neppure che mi affacciassi alla finestra, pretendeva anche che rispondessi affettuosamente ai suoi messaggi sul telefono anche se io non avevo nessuna intenzione di farlo – ha raccontato la donna dietro un paravento, in aula, per paura di incrociare il suo sguardo – E, anche se le altre due persone che vivevano con noi ascoltavano, lui minacciava chiunque avesse parlato con i carabinieri».
Qualche occasione la donna l’ha avuta di rivolgersi ai carabinieri, ma non lo ha fatto «perché temevo di non essere creduta e se lui lo avesse saputo, appena tornata a casa non so cosa avrebbe potuto farmi».
Due mesi così fino alla fine di gennaio di quest’anno quando, una sera, l’uomo ha superato il limite e, oltre alle consuete violenze, la donna ha seriamente temuto per la sua vita.
Ha aspettato terrorizzata che lui crollasse per lo stato di ebbrezza che lo pervadeva ed è fuggita, di notte, scappando verso casa di un amico per il quale aveva in passato lavorato prima della malattia che le ha portato via l’abilità di usare un braccio e una mano.
E’ dalla strada che ha chiamato i carabinieri i quali hanno arrestato quel “finto” fidanzato che si approfittava di lei.
La donna è ancora molto spaventata, perché ha saputo che un amico comune aveva l’incarico di offrirle mille euro per ritirare la denuncia a carico dell’imputato.
Attesa per fine mese la sentenza.