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Intervista

“L’infezione da Covid provoca sintomi neurologici nel 75% dei casi”

Il primario Marco Aguggia spiega i disturbi di chi ha contratto l’infezione e le conseguenze della pandemia a livello neuropsicologico

«L’infezione da Covid provoca sintomi neurologici nel 75% dei casi. Senza contare gli effetti a livello neuropsicologico legati alla variazione radicale delle abitudini di vita, soprattutto durante i lockdown».
A sottolinearlo il dott. Marco Aguggia, primario di Neurologia all’ospedale Cardinal Massaia, che abbiamo intervistato per approfondire l’argomento.
Dott. Aguggia, quali sono gli effetti della pandemia da Covid a livello neurologico?
Fondamentalmente vanno considerati due aspetti distinti. I sintomi neurologici legati all’infezione da Covid e gli effetti neuropsicologici dovuti alla variazione delle abitudini di vita a causa della pandemia e delle restrizioni ad essa collegate.
Ci parli della prima categoria…
Parliamo di sintomi legati all’infezione da Covid e alla sua “coda”, il cosiddetto Long Covid (non ancora molto conosciuto), per via del quale compaiono mesi dopo la contrazione dell’infezione. In questo caso si distinguono innanzitutto i sintomi non specifici, che possono comparire anche in occasione di altre malattie. Tra i più comuni, cefalea, vertigini, mialgia, senso di affaticamento, perdita del gusto e dell’olfatto, comparsa di vuoti di memoria, diminuzione della capacità di concentrazione. In sostanza, sono quei sintomi che possono essere presenti in chi ha contratto il Covid ma non lo codificano. In secondo luogo ci sono i sintomi specifici del Covid che impongono il ricovero del paziente, come ictus, mielite, polinevrite.
Sono sintomi diffusi?
Sì. Le ricerche scientifiche sull’argomento, tutte di quest’anno, affermano che i sintomi neurologici si manifestano nel 75% dei malati di Covid e nel cosiddetto Long Covid.

Gli effetti neuropsicologici

Per quanto, riguarda, invece, i sintomi neuropsicologici?
L’emergenza sanitaria ha imposto un radicale cambiamento delle abitudini di vita, soprattutto a causa dei lockdown che hanno imposto due difficili condizioni: l’isolamento e la limitazione degli spazi. L’uomo, infatti, ha bisogno di sufficienti metri quadri a sua disposizione per vivere in modo non aggressivo. Basti pensare alla fatica che si fa quando si naviga in barca con altri compagni di viaggio. In tale difficile contesto il timore del contagio ha poi aumentato in modo significativo i disturbi di ansia, determinando cioè disturbi comportamentali, fenomeni ansiosi e depressione. In questo periodo le persone sono giocoforza tormentate dal timore di contrarre la malattia. Noi lo notiamo perché in ospedale ci capita spesso di dover confortare a livello psicologico pazienti spaventati. Tanto che molti somatizzano l’ansia che provano e si rivolgono ai medici di famiglia o in Pronto soccorso perché manifestano quei sintomi non specifici cui accennavo prima e sono convinti di aver contratto il Covid.

Gli anziani

A questo proposito la fascia più fragile è quella degli anziani…
Certamente. A livello sociale la pandemia ha bloccato l’occasione di ricevere stimoli grazie alla vita sociale, all’esterno e all’interno della famiglia. Gli anziani, in particolare, finora hanno patito soprattutto l’isolamento da familiari e nipoti, anche perché i bambini, loro malgrado, sono involontariamente trasmettitori di virus.
Da ricordare, poi, che il timore del contagio si ripercuote anche sulla qualità del sonno, con effetti peggiori tra gli anziani il cui riposo è già accorciato rispetto alle altre fasce della popolazione.
Quali sono i campanelli d’allarme di cui devono tenere conto, ad esempio, i familiari di un anziano che sta manifestando questi disturbi neuropsicologici?
Semplificando si possono riscontrare due comportamenti ambivalenti. Primo, l’aumento significativo delle richieste di aiuto e di interesse al sé, ad un livello persino soverchio. Secondo, e contrapposto, l’aumento del distacco e dell’isolamento.
Cosa possono fare i familiari quando riscontrano questi comportamenti?
Siccome le visite a domicilio sono ad oggi possibili, è bene che i familiari aumentino la sorveglianza dell’anziano. Se possibili, sono molto d’aiuto i passaggi quotidiani (o quasi), le telefonate, le videochiamate, i messaggi. L’anziano, infatti, ha bisogno di porsi o essere posto in condizioni di stimolazione continua grazie alla famiglia (se presente) o ai gruppi esterni, dato che la socializzazione è fondamentale. Asti, fortunatamente, è una città che offre numerose opportunità di questo tipo, anche se purtroppo bisogna ancora prestare attenzione a causa dell’emergenza sanitaria, valutando di volta in volta cosa è meglio per l’anziano.
Parliamo ora degli anziani che, prima della pandemia, manifestavano di essere nella fase iniziale di una demenza senile. Quali le conseguenze dell’infezione da Covid?
Hanno subito peggioramenti drammatici. I risvolti peggiori, nello specifico, si sono riscontrati nei cosiddetti MCI (Main Cognitive Impairment), ovvero in coloro che sono affetti da disturbi di memoria che non possono ancora essere classificati come una forma di demenza ma che, al contempo, non sono normali. Coloro che si trovavano in questa sorta di “limbo” hanno subito una precipitazione della loro situazione, un aggravamento che ha portato l’insorgenza della demenza.

L’aumento delle forme depressive

Indipendentemente dagli anziani, nei mesi scorsi al XXII congresso della Società italiana di Neuropsicofarmacologia si è parlato dell’aumento significativo dei casi di depressione legati, in modalità diverse, alla pandemia da Covid. Cosa ci può dire in proposito?
L’aumento dei casi è già in atto, come possiamo notare anche nella nostra realtà. Stiamo riscontrando un forte incremento dei fenomeni depressivi. Nello specifico, delle depressioni cosiddette ansiose, che quindi si accompagnano ad un livello significativo di ansia, a causa della quale la persona si sente, semplificando, triste e agitata. Forme depressive più diffuse rispetto a quelle inibite, a causa delle quali la persona si sente priva della voglia di agire. Che siano forme legate all’infezione da Covid o al contesto generale, quindi, si può affermare che è in atto l’aumento in termini assoluti delle forme depressive.

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