La Corte di Cassazione conferma la condanna di primo e secondo grado
E’ arrivata intorno alle 22 di ieri la decisione della Corte di Cassazione chiamata a decidere su uno dei casi di cronaca più seguiti dall’Italia intera: l’omicidio di Elena Ceste, la madre di quattro figli scomparsa dalla sua casa di Motta di Costigliole il 24 gennaio 2014 i cui resti sono stati ritrovati poco distante nove mesi dopo.
La decisione più temuta dall’imputato e dalla difesa: la conferma della condanna a 30 anni a carico del marito Michele Buoninconti.
Lui non era presenta in aula e, visto che si trova recluso, non ha neppure ricevuto la telefonata nell’immediatezza della sentenza; probabilmente lo ha saputo questa mattina dai giornali, in attesa di un colloquio con il suo avvocato Enrico Scolari.
Il lavoro della difesa
Che ieri, insieme al collega Marazzita, ha tenacemente argomentato la tesi difensiva davanti ai giudici della Corte di Cassazione, puntando l’attenzione sulla mancanza della causa certa di morte della donna e, a lato, sul fatto che le due sentenze di primo e secondo grado fossero basate anche sulle intercettazioni delle celle telefoniche sulle quali hanno contestato i titoli di chi le aveva condotte.
“Elena uccisa dalla sete di dominio”
Trancianti le parole del procuratore generale Giuseppina Casella: « Elena Ceste è stata uccisa dal più atavico dei sentimenti maschili: una sete di dominio unita ad un malinteso senso dell’onore. Suo marito aveva una chiara e premeditata volontà omicida e una evidente volontà di depistare da se i sospetti e sviare le indagini».
Nove ore di lettura degli atti e poi la decisione: Michele è colpevole dell’omicidio della moglie e deve rimanere in carcere 30 anni.
Soddisfazione, se così si può definire il sentimento di una famiglia travolta da questa vicenda, è stata espressa dagli avvocati di parte civile Tabbia e Abate Zaro che lì, come in tuti gli altri gradi di processo, erano la voce di genitori, figli e sorella di Elena.
Il peso del comportamento di Michele
I difensori di Michele hanno sottolineato di attendere le motivazioni per fare dichiarazioni più puntali ed entrambi hanno semplicemente detto di aver fatto tutto il possibile per cambiare le decisioni su Michele, ben consci che sulle tre condanne ci sia stato un forte peso psicologico dei suoi comportamenti e di quanto detto nel corso di quell’anno passato dalla scomparsa di Elena al suo arresto.
d.p.