Indagine dell’Ispettorato del Lavoro
Gli ispettori del Lavoro di Asti, nel controllare un negozio di acconciature a gestione cinese, hanno squarciato il velo su una situazione di irregolarità occupazionali che riguarda da vicino anche gli italiani.
Il salone controllato è in centro città e ha un importante giro di affari, di clienti e dunque anche di personale per far fronte ai tanti appuntamenti.
Gli ispettori in quel salone ci sono andati e hanno passato al setaccio tutte le posizioni lavorative delle persone, soprattutto donne, che si avvicendavano alla cura delle clienti.
Contratti aboliti dal Job Act
E hanno scoperto che ognuna di loro aveva sì un contratto di assunzione, ma che non corrispondeva al lavoro svolto e alle ore lavorate. In alcuni casi, poi, il contratto con il quale alcune lavoranti erano state introdotte, era quello di “associazione in partecipazione agli utili”, formula atipica di lavoratore che non esiste più, abolita dal decreto sul “Job Act”. Tanto che, quei contratti, non erano neppure stati registrati.
Lavoravano per 300-400 euro al mese
Altre, invece, erano state regolarizzate solo dopo un lungo periodo di prova totalmente in nero ma anche in questo caso quanto dichiarato non corrispondeva al reale lavorato: si parla di una retribuzione fissa mensile nell’ordine di 300-400 euro a fronte di non meno di 6 ore al giorno passate in salone. E in realtà le ore lavorate erano ancora di più nella speranza, per le “dipendenti” di ricevere a fine mese una paga extra che però non era mai stata concordata nè aveva criteri esatti di attribuzione. Quindi, spiegano dall’Ispettorato del Lavoro, queste donne lavoravano come muli tutto il mese sperando di prendere qualcosa di più di quei 300-400 euro pattutiti e sicuri.
Le italiane alle dipendenze dei cinesi
Ma quello che fa riflettere su quale sia il trend dell’economia di quel settore, arriva da un altro dato. Mentre nell’immaginario collettivo, questa negazione dei diritti del lavoro da parte di datori cinesi sembrava riguardare solo i connazionali alle loro dipendenze, è emerso, proprio dal controllo di questo salone, che molte lavoranti erano italiane. E non ragazzine appena uscite dalle accademie, ma parrucchiere “finite”, con anni di esperienza alle spalle, che avevano gestito per molto tempo dei loro negozi di acconciature ma che, proprio a causa della concorrenza spietata con inarrivabili prezzi al ribasso dei saloni gestiti da stranieri, erano state costrette a chiudere per passare alle dipendenze dei loro concorrenti con contratti irregolari.
«L’azione ispettiva – si legge in una nota stampa – ha permesso alle lavoratrici di recuperare sia le differenze retributive che quelle contributive ed assicurative. Gli ispettori – prosegue – hanno inoltre disconociuto i contratti di lavoro pseudo-atipico e contestato più di 150 giornale di lavoro svolto in nero per diverse lavoratrici ed elevato multe per complessivi 35 mila euro a carico del titolare del salone di acconciature».