«Il mio è un grande pubblico, somma di tanti piccoli pubblici di cui mantiene la qualità: la caratteristica d’élite, cioè di gente che ha scelto un artista».
Sono le parole del grande cantautore Paolo Conte, famoso in tutto il mondo, nel film documentario “Paolo Conte, Via con me” del regista Giorgio Verdelli, prodotto da Sudovest Produzioni e Indigo Film. Presentato con successo alla 77esima Mostra del cinema di Venezia, era uscito al cinema nel settembre 2020 e, giovedì scorso, è andato in onda in prima visione assoluta su Rai 3.
Nell’ambito di una lunga e interessante intervista il Maestro ha parlato di musica, amore per il jazz, canzoni, avvio della carriera, tra riflessioni e ricordi. Non solo. Le sue parole erano inframmezzate dalle testimonianze di tanti artisti amici o con cui ha collaborato: da Francesco De Gregori ad Enzo Jannacci, da Caterina Caselli a Pupi Avati. Il tutto intervallato dalle immagini dei numerosi concerti che ha tenuto in tutto il mondo, delle trasmissioni che lo hanno visto protagonista anche in anni lontani (come “Variety” del 1981 con Pupi Avati) e di numerosi scorci della città di Asti e di alcuni suoi luoghi simbolo.
La passione per la musica e gli esordi
«La passione per la musica – ha raccontato – a casa mia c’è sempre stata, dato che i miei genitori erano entrambi pianisti. Così da ragazzi io e mio fratello (Giorgio, ndr) avevamo messo su molto goliardicamente un’orchestra. Io avevo scelto il trombone che però, essendo stato bocciato in terza liceo perché non ero andato a scuola, mi era stato requisito».
«Io – ha aggiunto Giorgio Conte – suonavo la batteria, mentre la grancassa era stata rubata all’oratorio Don Bosco e il rullante era in realtà un tamburello sportivo».
Poi gli altri gruppi musicali, la partecipazione alla Coppa del Jazz, l’acquisto del vibrafono. E via via l’inizio della carriera.
«Quando facevo il compositore per gli altri – aveva raccontato in una intervista in televisione nei primi anni Ottanta, proposta nel documentario – frequentavo Milano e lavoravo quasi a tempo pieno in ufficio (come avvocato, ndr). Le fatiche peggiori erano di quel periodo. Mi interessava far correre in parallelo le due attività senza che una surclassasse l’altra. Forse lì ci può essere stata la teoria del doppio alibi: se non funziona una parte, c’è sempre la possibilità che funzioni l’altra. Ma non è solo questo: è che non voglio tradire un mestiere che mi è piaciuto e per il quale ho studiato 18 anni».
Il jazz
Conte ha anche spiegato il motivo della scelta di dedicarsi alla musica jazz, partendo della sua origine astigiana.
«Asti – ha affermato – è una città dove non si comunica tanto. Infatti non annovera poeti, ma solo scrittori di tragedie.
La scelta del jazz anziché di altre musiche più leggere e facili deriva da questo nostro carattere da tragediografi. Il jazz è una musica difficile, anche se per noi che l’abbiamo coltivata è sempre stata deliziosa, fatta di fuoco e grandi tenerezze».
Nel corso del film ha anche mostrato parole di affetto nei confronti del pubblico: «Il mio è un grande pubblico. Infatti ho avuto la fortuna di lavorare all’estero e di conquistare il mio pubblico un po’ dappertutto. E’ un grande pubblico perché è la somma di tanti piccoli pubblici, di cui mantiene la qualità: la caratteristica d’élite, cioè di gente che ha scelto un artista».
Un pubblico che ha particolarmente apprezzato, per esempio, “Un gelato al limon”. «Questo brano – ha confidato – mi ha regalato molto affetto. E’ un testo dedicato a mia moglie. Parla di una donna che sta per entrare nella vita di un uomo, il quale cerca di regalarle quello che ha e che immagina possa piacere a lei».
Gli altri interessi e le testimonianze
Oltre alla musica, si è anche parlato delle passioni di Conte: la pittura («un vizio ancora più antico della musica», ha sottolineato) e l’enigmistica, limitata quasi esclusivamente ai rebus.
Tra le testimonianze più ricche quella di Caterina Caselli. «Paolo Conte – ha affermato – compone in un italiano meraviglioso. Ha la capacità di trovare frasi evocative e potenti accompagnate dalla sua musica tutta particolare, che ti avvolge».
Al termine del film, nella sigla finale, una raccomandazione. «Io – ha concluso – ho sempre dato più importanza alla musica, in quanto capace di “fare la pagina”, di contenere in tre minuti tutto il film. Però da un po’ di tempo comincio a pensare che potrei anche essere ricordato per i testi. Quindi, mi ricordino per tutte e due le cose. E aggiungano anche il kazoo (il particolare strumento da lui suonato, ndr)».