I PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento), attivi nelle scuole superiori e spesso ancora indicati con la vecchia denominazione di Alternanza scuola-lavoro, sono al centro delle cronache. I due incidenti mortali che hanno coinvolto ragazzi che stavano effettuando tirocini in azienda hanno portato a proteste da parte degli studenti in diverse città italiane e all’apertura di un dibattito a livello nazionale sull’opportunità o meno di continuare questa attività. Anche se, in entrambi i casi, non si può parlare di PCTO, in quanto i due giovani frequentavano centri di formazione professionale e non istituti superiori.
Ma come funzionano i PCTO? Quali problemi presentano? Lo abbiamo domandato a tre dirigenti scolastici, chiedendo al contempo un giudizio anche alla “controparte”, ovvero al mondo del lavoro.
Il tutto tenendo presente due tappe. L’Alternanza scuola-lavoro, introdotta dalla Riforma Buona scuola del 2015, prevedeva l’obbligo, per gli studenti del triennio delle scuole superiori, di effettuare un determinato numero di ore di tirocinio in un luogo di lavoro (azienda, Ente locale, sindacato…). Successivamente è stata però rimodulata e trasformata in PCTO con la Legge 145 del 2018. Cosa è cambiato? E’ stato ridotto il numero di ore previste e si è introdotta la possibilità di effettuare non soltanto tirocini nei luoghi di lavoro, ma anche visite alle aziende, sviluppo in aula di progetti commissionati dalle imprese, partecipazione a concorsi, convegni e workshop. Attribuendo al contempo un forte accento anche all’orientamento dei ragazzi.
Istituto Castigliano
All’istituto professionale Castigliano i contatti col mondo del lavoro caratterizzavano la scuola anche prima della Riforma introdotta dal Governo Renzi. «Era attivo – spiegano gli insegnanti Danilo Graziano e Cinzia Savina, che fanno parte dello staff interno che si occupa dei PCTO – il programma cosiddetto di Terza Area, un percorso biennale extracurricolare e professionalizzante con esperti esterni e stage che terminava con un esame finale. Attuato in convenzione con la Regione, non era obbligatorio».
Una tradizione, quindi, risalente a circa 20 anni fa. «Poi, con la Riforma – continuano – i ragazzi del triennio erano tutti obbligati a svolgere i tirocini per un monte totale di 400 ore (scese a 210 con i PCTO). All’inizio la scuola si è dovuta dare da fare per trovare le aziende disponibili, mentre dopo pochi anni sono state le aziende a cercarla. In quella fase era capitato, anche se sporadicamente, che qualche azienda non facesse lavorare i ragazzi, oppure li adibisse a mansioni non adeguate (pulizie in uno scantinato). In ogni caso ci era arrivata subito la segnalazione e avevamo provveduto ad effettuare i dovuti controlli e, laddove necessario, interrompere il rapporto con l’azienda».
Questi casi non si sono più verificati in quanto, con gli anni, si è formata una rete di partner affidabili. E per quanto riguarda la sicurezza? «Nessun caso segnalato di problemi a questo proposito – affermano – anche perché a scuola puntiamo molto sulla cultura della sicurezza, fondamentale per ragazzi di un istituto come il nostro. Organizziamo infatti corsi ad hoc con attestato finale. Tanto che, spesso, i tutor aziendali che li seguono rimangono stupiti della loro preparazione».
La dirigente Martina Gado sottolinea, poi, anche il carico di impegno che questa attività comporta, soprattutto a livello burocratico. «Con ogni azienda – ricorda – viene stilata una convenzione, dopodiché si stende il progetto da seguire, si nominano i tutor (scolastico e aziendale), quindi si effettua il monitoraggio e si compila il questionario di gradimento».
Un impegno gravoso in cui, però, la scuola crede. «Da quest’anno scolastico – conclude Cinzia Savina – abbiamo ripreso i percorsi di PCTO in presenza, dopo averli effettuati interamente in classe durante le fasi più acute della pandemia. In ogni caso le esperienze col mondo esterno sono sempre stimolanti, dato che solo così possono emergere nuove capacità e competenze spendibili nella vita».
Istituto Artom
Molto favorevole ai PCTO anche Franco Calcagno, dirigente dell’istituto tecnico industriale Artom. «Con gli attuali PCTO – evidenzia – i ragazzi devono svolgere 150 ore nel triennio, che noi internamente abbiamo aumentato a 180. Da qualche mese abbiamo anche stilato un regolamento per avere un’organizzazione omogenea, dato che con la pandemia era diventata un po’ confusa. Regolamento in base a cui le ore sono concentrate soprattutto in quarta superiore, quasi esclusivamente d’estate, quando i ragazzi svolgono uno stage di tre/quattro settimane. Negli altri periodi o anni si effettuano invece le altre attività consentite, come gli interventi di professionisti esterni a scuola».
Calcagno racconta anche come siano stati sporadici i casi di stortura dei progetti da parte delle aziende. «Dal 2015 – precisa – saranno stati due o tre, e solo una volta abbiamo dovuto interrompere il rapporto con l’impresa. Devo però dire che non ci è mai capitato che i ragazzi venissero lasciati senza far niente, in quanto le aziende sono molto interessate ai nostri studenti, tanto che li richiedono anche dopo il diploma».
Per quanto riguarda la sicurezza, Calcagno sottolinea come i ragazzi siano soggetti ad un doppio controllo. «Le legge – conclude – afferma che i ragazzi non possono mai sostituire i dipendenti e non devono mai essere lasciati soli. Sono accomunati ai lavoratori solo dal punto di vista della sicurezza».
Calcagno sottolinea infine i pregi dei percorsi PCTO. «E’ l’unico modo – conclude – per consentire ai ragazzi di capire come funziona il mondo del lavoro. E’ un’esperienza fondamentale per la crescita e lo sviluppo di tutte quelle competenze richieste dalle aziende. In più crea contatti che favoriscono assunzioni dopo il diploma. Spero, quindi, che il dibattito in corso non porti all’eliminazione dei PCTO».
Giorgio Marino (Monti): “Deluso dai PCTO”
A dirsi deluso dai PCTO è il dirigente scolastico Giorgio Marino, a capo dell’istituto Monti che conta cinque licei, dal Linguistico al Musicale.
«Per quanto riguarda i licei – afferma – i PCTO sono meno professionalizzanti rispetto agli istituti tecnici o professionali, ma si aprono ad un ventaglio di attività molto esteso, che si allarga in svariati settori. Il fatto è che secondo me sono molto annacquati rispetto all’Alternanza scuola lavoro. Sono diminuite notevolmente le ore (da 200 a 90) ed è stato lasciato spazio ad esperienze nel mondo del volontariato e dell’associazionismo. Tutto nobile ed edificante, ma il mondo del lavoro è diverso. Insomma, se si guarda ai PCTO con un’ottica di arricchimento personale, rappresentano un’opportunità positiva. Se, invece, si guarda ad essi come un’occasione di rapporto stretto col mondo del lavoro, allora non sono utili. Personalmente ero molto convinto dell’Alternanza scuola lavoro, molto meno dei PCTO. E anche i ragazzi mi sembrano abbastanza tiepidi sull’argomento».
Marino interviene anche sulla questione sicurezza. «Premesso che si tratta di due tragedie – afferma – va sottolineato che sono casi accaduti in contesti diversi dalla scuola superiore, ovvero nell’ambito della formazione professionale che deve prevedere l’esperienza pratica e manuale sul campo. Trovo quindi ideologiche le proteste degli studenti in diverse scuole italiane, peraltro in maggioranza nei licei. Il tema della sicurezza va affrontato formando i ragazzi e non escludendo le attività a priori».
Amalberto (Industriali): “Solo così si respira l’aria delle aziende”
«Gli infortuni mortali che hanno riguardato due ragazzi che stavano effettuando stage in azienda rappresentano episodi molto gravi che però non devono portare ad estendere il discorso e mettere in discussione la cosiddetta Alternanza scuola-lavoro».
Sono le parole di Andrea Amalberto, presidente dell’Unione industriale di Asti. «L’esperienza in azienda – afferma – è fondamentale per gli studenti in quanto, e qui mi concentro nell’ambito produttivo, solo così possono mettere in pratica ciò che hanno studiato e possono provare macchinari, strumentazioni e attrezzature di livello avanzato che nelle scuole non sono presenti. Insomma, solo così possono respirare l’aria dell’azienda, che oramai è un luogo di lavoro assolutamente umano».
Amalberto non nega che si possano verificare pratiche non corrette in cui i ragazzi vengono adibiti a mansioni non adeguate, per esempio impiegati solamente a fare fotocopie. «Situazioni negative possono esserci – continua – ma non mi sento di criminalizzare la norma, che è scritta in modo preciso e per le aziende strutturate non implica particolari impegni a livello burocratico. Si tratta di uno scambio reciproco tra scuola e azienda che si basa su un principio di assoluto buon senso. Il ragazzo può sfruttare questa occasione per farsi conoscere, in vista di un futuro lavorativo, o di capire cosa vuole fare dopo il diploma (università, ingresso nel mondo del lavoro, istituto tecnico superiore). L’azienda può venire a contatto con giovani volenterosi da assumere una volta diplomati. Anche perché, non dimentichiamolo, le aziende in questo momento storico stanno cercando forza lavoro che non trovano. Parliamo, ad esempio, di informatici, manutentori, operai di livello, autisti, impiegati tecnici e amministrativi».
Riguardo al tema della sicurezza, Amalberto non ha dubbi. «Gli stage degli studenti – conclude – sono onerosi per le aziende, in quanto i ragazzi devono essere dotati di tutti i dispositivi di protezione individuale e affiancati da un tutor che deve investire tempo da dedicare loro. Se accettano questa possibilità è perché sono interessate a farlo. Mi ha dato quindi personalmente fastidio che, in questo periodo, il mondo dell’industria sia stato dipinto come approfittatore di forza lavoro e che si stia discutendo dell’opportunità di eliminare i PCTO».