Una lastra di vetro mandata in frantumi sull’altare, bestemmie proferite durante la celebrazione della messa, calci al portone della chiesa o ad altri arredi della parrocchia, ma anche diverse irruzioni e danneggiamenti nella scuola media Martiri. Nel quartiere Torretta, tra piazzale Nostra Signora di Lourdes, la vicina scuola e il resto della zona, dove si trovano le piattaforme sportive a disposizioni di tutti, sta aumentando il disagio giovanile, la rabbia e il rischio di un crescendo di atti ai limiti della legalità. Etichettare sarebbe facile e molti l’hanno già fatto, ma non il parroco don Paolo Lungo che non parla di “baby gang”, ma che ha dovuto chiamare più volte le forze dell’ordine per riuscire a celebrare la messa o per impedire a un nutrito gruppo di giovanissimi di continuare a infastidire i fedeli o gli altri fruitori degli spazi comuni intorno alla parrocchia.
«Hanno rotto una vetrata sull’altare – racconta don Lungo – preso a calci la porta della chiesa, sono entrati in teatro, durante una messa, per urlare delle bestemmie. Siamo stati costretti a chiamare la polizia e i carabinieri, ma non ho voluto formalizzare le denunce perché sono riuscito a parlare con circa metà delle famiglie di questi ragazzi che si sono dette amareggiate e pronte a intervenire. Purtroppo c’è un’altra metà meno sensibile al problema. Sia chiaro che la questione dev’essere affrontata per il loro bene perché, se non vengono fermati adesso, cosa potrà succedere in futuro?».
Le forze dell’ordine sono intervenute più volte davanti alla chiesa e nelle immediate vicinanze. Due volte la questura, quattro i carabinieri e anche la polizia locale sta facendo il suo lavoro per tenere sotto controllo questi spiacevoli episodi. Tutti confermati da testimoni e che, a differenza di quello che qualcuno potrebbe pensare, non sono e non possono essere classificati come ragazzate. Anzi.
Ed è qui che nascono varie questioni e non solo di ordine pubblico. Questi giovani, che hanno soprattutto un’età compresa tra 11 e 17 anni, sono in prevalenza “gregari” intorno a pochi leader che seguono nello logica del branco. «Molti non abitano neanche in questo quartiere, – aggiunge don Paolo – ma quello che più si nota nel loro modo di vivere è che sembrano non avere alternative mentre invece, io per primo, vorrei offrire loro qualcosa di positivo da fare, senza chiedere che diventino chierichetti o partecipano alla messa. Nella Bibbia – continua il sacerdote – c’è scritto che nessuno tocchi Caino, ma è necessario avere attenzione per Abele. Bisogna difendere la libertà di tutti, anche quella degli anziani che hanno il diritto di uscire a spasso con il cagnolino senza avere paura».
Non “baby gang”, come quelle che si sono viste in azione a Milano, per fatti criminali molto gravi, ma giovani “sperduti” che la pandemia, l’interruzione di molte attività dedicate, la mancanza di spazi hanno gettato in strada per buona parte del loro tempo. Non si sa, ma le indagini dei carabinieri sono a buon punto, se i danneggiamenti nella vicina scuola Martiri siano o meno imputabili allo stesso gruppo di giovani, ma data l’età dei protagonisti di queste azioni è evidente che siamo davanti ad un problema soprattutto sociale e non solo di ordine pubblico. «Alcuni di questi ragazzi davanti ai poliziotti intervenuti per tranquillizzare gli animi – conclude il parroco – non hanno avuto nessuna remore a provocarli dicendo loro “sparami dai”, “mettimi le manette”. Ecco perché questi casi devono essere presi sul serio prima che sia troppo tardi».
La risposta delle istituzioni: «È necessaria un’azione sinergica»
Dopo le dichiarazioni del sacerdote della Torretta in molti si confrontano su come intervenire affinché non si ripetano ulteriori spiacevoli episodi. Dei recenti fatti si è discusso anche nel Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, presieduto dal Prefetto Terribile. Il Comitato ha convenuto «come il fenomeno, tanto nel capoluogo quanto in provincia, assuma manifestazioni circoscritte talvolta a contesti sensibili ovvero propiziate da diffusi malesseri sociali: – si legge in una nota stampa diramata dopo la riunione – tali episodi, al di là della loro intrinseca specificità, non destano significativa preoccupazione, ma impongono una comune riflessione e una azione sinergica tra tutte le Istituzioni».
Il prefetto ha evidenziato come, in tali circostanze, sia quanto mai decisivo «il concorso di tutte le componenti della società, in prima battuta delle famiglie, che, con il concreto sostegno del sistema scolastico e delle Istituzioni, sono chiamate ad intercettare tempestivamente gli elementi sintomatici del disagio prima che esso degeneri». I Servizi Sociali del Comune di Asti e l’assessorato alle Politiche Giovanili si sono attivati a loro volta per cercare di dare una prima risposta sul fronte dell’inclusione di questi ragazzi e per toglierli dalla strada.
«Abbiamo riattivato con più vigore il progetto di educativa territoriale – commenta l’assessore dimissionario Mariangela Cotto – Abbiamo mandato sul posto educatori che parlino con questi ragazzi, per intercettare il loro disagio e collaborare con la scuola, le associazioni sportive, l’oratorio in progetti che li aiutino a indirizzare le energie in maniera costruttiva».
«Non siamo davanti a baby gang, – commenta il questore Sebastiano Salvo – ma indubbiamente, da questi fatti, emerge un problema di socialità. Come polizia siamo intervenuti due volte: la prima abbiamo trovato dei bambini, di circa 11 anni, prontamente allontanati; la seconda volta ci sono stati segnalati ragazzi molesti nei locali del circolo, che poi sono scappati prima del nostro arrivo».
Anche i carabinieri sono intervenuti più volte. «Non abbiamo mai sottovalutato il problema denunciato dal parroco – spiega il tenente colonnello Vittorio Balbo, comandante del reparto operativo – e il nostro invito è sempre quello di chiamare il 112. Asti vive una situazione molto più tranquilla di altre città e questo permette di dedicarci anche a questi problemi, che altrove non avrebbero, forse, tutta questa attenzione. Il caso del Movicentro e dei danneggiamenti, prontamente risolto, lo dimostra».
La Garante per i diritti dell’infanzia: «Il più grave errore è non ascoltare quando parlano»
Voglia di essere considerati più di quanto non succeda? Un’esigenza di riempire vuoti che, anche per colpa della pandemia, si sono sempre più allargati scatenando un disagio che non riescono più a gestire? Quali sono i motivi che spingono decine di ragazzi e ragazze, alcuni poco più che bambini, altri già più grandi, ma sempre minorenni, ad aggregarsi per sfidare le regole e i limiti “imposti” dalla società? Una domanda che sorge spontanea vedendo quanto sta accadendo nel quartiere della Torretta. Abbiamo chiesto a Saveria Ciprotti, la Garante per i diritti dell’infanzia e degli adolescenti di Asti, di darci una sua lettura sul disagio che questi giovani stanno vivendo a due anni dall’inizio della pandemia.
«Credo che il principale problema di questi ragazzi, che sono poco più che bambini, è che non vengono ascoltati. Questo ci viene raccontato anche negli incontri che organizziamo nelle scuole, non da ultimo qualche giorno fa a Nizza: vogliono comunicare agli adulti ciò che provano, il loro disagio, ma non vengono ascoltati e spesso sono zittiti con dei “no” senza alcuna spiegazione. È evidente – continua la Garante – che se non ricevono ascolto in famiglia andranno a cercarlo altrove, magari in strada, creando gruppi che li portano a compiere questo genere di azioni». L’emergenza sanitaria, la DAD, l’interruzione delle attività sportive per molti mesi hanno spinto i più piccoli a chiudersi sempre di più nella loro solitudine.
«La DAD è stata necessaria in quel momento di emergenza, – continua Ciprotti – ma ha lasciato danni enormi che emergeranno anche nel prossimo futuro. Alcune famiglie hanno tentato di aiutare i figli in quella fase emergenziale, altre purtroppo no. Così i piccoli si sono chiusi, arresi o rassegnati e hanno trovato sfogo soprattutto sui social perché in quel momento non avevano nessuno con cui confrontarsi». C’è un modo per aiutarli? «Sì, – conclude la Garante – ma è necessario fare sistema con progetti, la scuola, lo sport e ovviamente le famiglie. Ma ripeto, si deve ripartire dall’ascolto».