È con la lista di Azione e Più Europa, sostenuta da Volt, ma senza l’appoggio ufficiale di Italia Viva (ieri in un comunicato stampa il partito di Renzi ha spiegato che “un candidato e un simbolo di partito si mettono in campo solo se si crea una coalizione ampia con un disegno unitario, condiviso e vincente […] e questi presupposti alla verifica dei fatti non ci sono”), che il candidato sindaco Marco Demaria, musicista, si presenta all’esame del voto.
Perché ha scelto di entrare in Azione e di sostenere il progetto di Calenda?
Mi ha convito il suo approccio verso certi temi. Ho pensato, da operatore della musica, di dare il mio contributo a un tavolo di lavoro regionale o nazionale legato alla cultura. Penso che il mio mondo, che in realtà è un comparto economico importante con un milione e mezzo di posti di lavoro, non sia percepito in questa maniera rispetto ad altri Paesi, come la Germania, dove siamo trattati in modo molto diverso. Non a caso l’impostazione italiana della cultura è vecchia di 40 anni. Comunque mi sono avvicinato attraverso i congressi e i tavoli tematici, come nel caso di quello della Cultura di cui faccio parte a livello regionale.
L’avvio della sua campagna elettorale è stata accolta da diverse critiche di tesserati di Azione che lamentano di non averla votata e di aver appreso della sua candidatura dai giornali.
C’è molto cinismo mediatico in questa vicenda perché la situazione è meno difficile di quella che viene rappresentata. C’è stata una fuga di notizie che ha sorpreso anche me. Essendo sicuro delle persone che mi hanno chiesto la candidatura sono certo che la fuga di notizie non sia imputabile al nostro partito. Ma aggiungo che il segretario provinciale Fogliati aveva avuto un mandato pieno da parte del direttivo per fare tutti i sondaggi e i passaggi possibili per addivenire a una candidatura. Per sopire ogni polemica aggiungo che la mia candidatura è stata vagliata dalla Segreteria Nazionale e suggellata da Calenda ad Asti.
La Cultura può davvero essere un volano economico per Asti?
La città vive un clima culturale sottotono, di impostazione estremamente datata. Sono state messe in campo pochissime idee e molto confuse. L’Assessorato alla Cultura non dovrebbe essere concesso come carica onorifica, che si fa nei ritagli di tempo o come secondo lavoro. Se io voglio avere una visita medica vado dal medico, non da qualcuno che lo fa come secondo lavoro. Idem se ho bisogno di un buon arrosto, vado dal miglior macellaio. Ad Asti, invece, la carica di assessore alla Cultura viene intesa come un qualcosa da concedere a chi è appassionato di storia, di cinema, di musica, etc. E il discorso vale anche per la macchina amministrativa ad essa collegata: ci vogliono professionisti con una seria e unitaria direzione artistica delle attività culturali cittadine. Solo così si può pianificare un futuro a medio termine, e non annuale, sostenuto non solo da fondi comunali. In tutte le realtà del mondo civilizzato l’Ente pubblico non sostiene da solo le attività culturali di una città grande come la nostra.
Qualche esempio specifico?
Abbiamo poli culturali spenti, sottodimensionati, come il Teatro Alfieri che chiunque abbia gestito negli ultimi 20 anni, da quando è stato riaperto, non ha fatto funzionare puntando davvero sull’unica priorità: riabituare gli astigiani, compreso il sottoscritto, a tornare a frequentarlo. Quello che serve al Teatro Alfieri è una gestione professionale, con offerta pluriennale, che coinvolga al massimo la città. I dati preCovid, 12.000 ingressi in un anno, sbandierati come un successo, sono vergognosi per una città con 76.000 abitanti. Senza considerare che oggi l’Alfieri è luogo di saggi e di attività amatoriali. Così non abitui ad andare a teatro, ma lo fai considerare più o meno come il teatro della parrocchia. Il teatro si costruisce con una seria programmazione invernale, che avviene da ottobre a maggio. I festival, su cui l’assessore punta molto, sono un di più.
Ci sono poi le manifestazioni che dovrebbero servire come richiamo per turisti e per sostenere l’economia.
Le nostre manifestazioni sono tutte estremamente datate, autoreferenziali e poco sostenute dal punto di vista economico. È per questo che è necessario una fortissima direzione artistica unitaria con il compito di armonizzare i festival, come AstiTeatro, AstiMusica, etc., mettendoli in comunicazione tra loro, coordinandoli a livello centrale, per essere una continuazione di una stagione invernale tutta da costruire.
Asti ha tante bellezze, ma siamo ancora indietro nel saperle raccontare bene. Dal vino alla storia medievale, da Alfieri al Palio: come può un sindaco incidere a riguardo?
Dobbiamo mettere negli astigiani un po’ di sano patriottismo e orgoglio. Asti ha una quantità di figure interessanti nella sua storia; siamo una città di talento che dal medioevo è stata davvero capoluogo di un vasto territorio. Ora non riusciamo ad essere neanche capoluogo della nostra provincia. Ci sono persone a Nizza, Canelli o Moncalvo che fanno a meno di venire ad Asti. Una grande carta per tornare a essere un capoluogo è data dalla bellezza e dalla cultura che puoi trovare qui.
Cultura e bellezza che dovrebbero essere valorizzate con più isola pedonale.
L’impostazione del Piano del traffico è vecchia di 40 anni, come il servizio pubblico e quasi tutto il resto. Il mondo sta andando in tutt’altra direzione: i centri storici sono chiusi alle auto, ma aperti alla mobilità alternativa fatta di elettrico, di servizi per i pedoni, ciclisti o per chi ha il monopattino. Il servizio pubblico dev’essere un anello di questa catena. La valorizzazione delle piazze cittadine, ovunque ci siano monumenti, passa da una pedonalizzazione e razionalizzazione del traffico e questo intercettando finanziamenti europei per modernizzare la pavimentazione stradale e creare vere ciclovie.
Lei è favorevole a realizzare il collegamento sud/ovest, ma non c’è il rischio che una strada, con una corsia per senso di marcia, sia sottostimata rispetto alle necessità?
Sono favorevoli, ma come raccordo tangenziale tra due autostrade. Per quest’opera dobbiamo pensare ai bisogni da qui a 20 anni e questo vuol dire studiare i flussi di traffico e vedere, ad esempio, che il nostro ospedale è cieco dal punto di vista delle vie di accesso. La TSO serve alla città, ma anche al sud Astigiano per collegarsi all’ospedale. Il progetto del 2010, l’unico depositato e su cui si può parlare, è quello su cui ci sono studi di fattibilità. Ora, non esiste nel mondo che un’opera non si faccia perché c’è uno stagno con dei rospi. Al massimo si trovano soluzioni tecnologiche e tecniche per ovviare al problema. Il progetto del 2010, secondo gli studi, è l’unico plausibile per il futuro e questo vuol dire un raccordo tra l’A33 e Asti Ovest, quindi la zona dell’ospedale, con due corsie per senso di marcia più quella d’emergenza.
La sua idea per sostenere il commercio locale?
Ad Asti, negli ultimi 30 anni, si è dato troppo spazio ai grossi esercizi sopra la media, ma senza che ci fosse un equilibrio con i più piccoli. Bisogna creare le condizioni perché il centro abbia più decoro e fruibilità. Poi bisogna armonizzare la rete dei parcheggi e dare informazioni in tempo reale sui posti liberi così da evitare giri a vuoto. Vorremmo fare investimenti sull’imprenditoria commerciale giovanile, un piano di sostegno a quelle attività commerciali dei giovani che si installano il centro abbattendo per i primi anni tutti i costi di competenza comunale, in primis la TARI.