Ha conquistato il pubblico del festival Passepartout, terminato domenica scorsa ad Asti, con la competenza, l’entusiasmo e l’ottimismo che lo caratterizzano.
Parliamo di Carlo Ratti, ingegnere e architetto astigiano dalla carriera internazionale. Insegnante al Massachusetts Institute of Tecnology (MIT) di Boston, dove ha fondato il Senseable City Lab, dirige lo studio internazionale di progettazione Carlo Ratti Associati, la cui sede italiana è a Torino. Incluso dalla rivista “Wired” tra le «50 persone che cambieranno il mondo», scrive su “Architectural Review”, “Il Sole 24 Ore”, “Scientific American” e il “New York Times”. I suoi lavori sono stati esposti, tra l’altro, alla Biennale di Venezia, al MoMA di New York e al Science Museum di Londra. È autore di oltre 500 pubblicazioni. Per Einaudi ha pubblicato, con Matthew Claudel, “Architettura Open Source. Verso una progettazione aperta” (2014), e “La città di domani. Come le reti stanno cambiando il futuro urbano” (2017).
Nell’incontro svoltosi venerdì scorso al Palco 19, intitolato “La rivoluzione della città”, ha spiegato la direzione che stanno percorrendo le città verso la sostenibilità, cercando di compenetrare gli elementi naturali con quelli artificiali di cui sono simbolo.
La compenetrazione tra naturale e artificiale
«Ci sono due modi – ha affermato – per unire artificiale e naturale. Il primo è attraverso le reti digitali, che, rispondendo in modo dinamico alle persone grazie alle tecnologie inserite, consentono di vedere le città come un organismo vivente, superando meglio la dicotomia citata. Il secondo è quello di attuare un meccanismo opposto alla rivoluzione urbana del Novecento. Quest’ultima, infatti, ha portato le città ad espandersi verso il territorio e la campagna circostante, determinando in realtà la distruzione della natura. In questo secolo, dove almeno in Europa e Stati Uniti la popolazione delle città non cresce più (a differenza di Asia, Africa e Sud America), si ragiona quindi su come portare più natura nelle città».
I progetti
Ratti ha quindi presentato alcuni progetti sul tema firmati dallo studio che dirige. Il primo, datato 14 anni fa, è stato realizzato a Palazzo Trussardi a Milano, tra piazza della Scala e piazzetta Filodrammatici.
«Abbiamo pedonalizzato la piazzetta Filodrammatici – ha raccontato – e, per ogni automobile di quell‘area, abbiamo previsto un metro quadro di verde. E’ stato il primo progetto italiano del botanico Patrick Blanc, inventore dell’idea di “vertical garden” con cui è riuscito a fare crescere le piante anche sui muri, tecnica oggi molto utilizzata. Ne è nato uno spazio pubblico coperto e verde nel cuore di Milano».
Altro progetto, il grattacielo quasi ultimato a Singapore, uno dei più alti della città. «E’ stato concepito – ha proseguito – con una parte superiore dedicata agli uffici e una inferiore ad una specie di albergo. In mezzo, una grande foresta tropicale sospesa a picco sulla città e, soprattutto, uno spazio verde per incontrarsi e lavorare, a disposizione di chi frequenta la parte superiore e inferiore dell’edificio».
Oppure il progetto, non ancora realizzato, tra i vincitori del concorso “Reinventing cities” di Milano due anni fa, sul modello di quello lanciato dal sindaco di Parigi Anne Hidalgo nel 2017 che aveva visto Ratti in giuria.
«Il concorso – ha commentato – si basa su un concetto molto semplice, che potrebbe andare bene anche per Asti. Dovendo disfarsi di terreni e immobili inutilizzati, il sindaco di Parigi ha deciso di non seguire il modello standard (vendere al migliore offerente e lasciare che sviluppi quello che vuole) ma quello opposto. Ha infatti lanciato un concorso di idee che potevano essere avanzate da chiunque – dai progettisti ai comitati di cittadini – ovviamente provviste di garanzia economica. L’idea é: si valuta l’innovazione urbana, e sulla base di quello, si sceglie il progetto».
«Da allora – ha ricordato – questo modello ha avuto un grande successo. Da Parigi è stato adottato da C40 (il gruppo delle 100 città nel mondo che vogliono lottare in fretta contro il cambiamento climatico, tra cui Milano e Roma), portando ad una serie di concorsi. Il primo a Milano, nell’ambito del quale siamo tra i progettisti vincitori con un edificio accanto a Fondazione Prada, in cui la natura gioca in diversi modi, sia sulla facciata sia con una grande vigna che parte dalla base e sale fino in cima all’edificio, facendo sì che ad ogni livello, che sia piano per uffici oppure residenziale, ci sia un accesso diretto alla natura e al verde».
La “città di 15 minuti”
Dopo aver illustrato altri progetti, da Milano ad Helsinki, Ratti ha fatto riferimento ad una delle idee che vengono discusse di più attualmente nel mondo dell’urbanistica, quella della “città/quartiere di 15 minuti”. «L’idea è molto semplice, sviluppata dal collega e amico Carlos Moreno a Parigi – ha sottolineato – ed è il concetto in base a cui la maggior parte delle necessità quotidiane dei residenti può essere soddisfatta entro 15 minuti a piedi o in bicicletta. Diventa importante, quindi, sviluppare parti della città facendo sì che tutte quelle funzioni, che determinano gli spostamenti, siano a poca distanza. Con i conseguenti vantaggi a livello di mobilità sostenibile e riduzione del traffico».
I riferimenti ad Asti
Dopodiché ha stimolato le domande dal pubblico, fioccate numerose. Ad esempio gli sono stati chiesti alcuni pareri su Asti da parte di chi ha manifestato al contempo rammarico per l’assenza dei candidati a sindaco, che avrebbero potuto ricavare dall’incontro stimoli e spunti interessanti di riflessione. La prima questione sottoposta è stata quella del “Grappolo gigante”, una struttura alta 70 metri, a forma di grappolo d’uva, che il Gruppo costruttori edili dell’Unione industriale di Asti ha proposto al posto dell’ala nuova del vecchio ospedale per ospitare attività legate al vino (ristoranti, spazi degustazioni, uffici del turismo). «Non conosco il progetto – ha affermato – e non posso esprimermi in merito, però ribadisco che la tendenza è portare la natura dentro la città. Comunque ritengo che ciascuno debba sentirsi coinvolto per portare ai candidati idee e proposte. La discussione pubblica non è appannaggio degli esperti, perché il futuro della città è in mano a tutti i cittadini. La città è sempre il risultato di idee condivise che poi diventano progetti».
Per poi avanzare un suggerimento. «Ogni città – ha precisato – deve partire dalla sua vocazione. Per Asti, come per tante altre città di taglio medio in Italia, il territorio diventa un concetto fondamentale per pensare a cosa possa diventare la città domani. Tanto più che, rispetto a 50 anni fa, ha molte più potenzialità attualmente. Penso alla valorizzazione di tantissimi prodotti e risorse della zona».
Il futuro degli immobili in disuso
Si è poi discusso del vecchio ospedale di Asti. Indipendentemente dai progetti presentati e suggeriti negli anni, Ratti ha sottolineato un concetto fondamentale. «Una cosa cui fare attenzione è che, nel caso di un immobile inutilizzato, si deve pensare prima al contenuto e poi al contenitore. Altrimenti si rischia, come spesso accade in Italia, che si trovino fondi per rimettere a posto l’immobile inutilizzato anche in modo spettacolare e poi ci si chieda a cosa può servire, tanto che magari dopo 20 anni torna una rovina inutilizzata. Non conosco abbastanza Asti per dire quale potrebbe essere un “contenuto” che funziona. Prendendo spunto da altre città potrei suggerire un buon albergo, per esempio guardando al formato dello “student hotel” (ibridazione tra albergo, pensionato e spazio per studenti). Oppure a qualcosa legato all’agricoltura, anche per avvicinare i giovani a questo settore, con un meccanismo simile a quello che recentemente ha avvicinato le fasce giovanili al mondo della cucina».
Le città tra pandemia e globalizzazione: tre domande a Carlo Ratti
Al termine dell’incontro abbiamo posto ancora tre domande a Carlo Ratti per approfondire il discorso sul futuro delle città, anche alla luce dell’emergenza sanitaria che ha investito i Paesi del mondo.
Secondo lei come ha influito la pandemia, con le sue conseguenze a livello di vita quotidiana (vedasi smart working), sul futuro delle città?
Due anni fa tutti dicevano che la città era morta e che la gente si sarebbe trasferita nei borghi. La mia è stata una delle poche voci fuori dal coro. Come ho scritto in un articolo firmato con il sociologo americano Richard Florida, infatti, ho ricordato come le città siano sopravvissute ad epidemie molto più devastanti del Covid. Pensiamo a Venezia, che nel Trecento perse il 60% della popolazione.
La forza magnetica che ci tiene insieme nelle città, dalla storia millenaria, è infatti più forte di quelle forze centrifughe quali pandemie e guerre, anche se il modo di vivere e lavorare è cambiato, diventando più flessibile.
Lei ha accennato alle potenzialità di sviluppo legate al cosiddetto “lato buono” della globalizzazione. Ci spieghi…
Dalla seconda metà del secolo scorso in Italia, così come negli altri Paesi avanzati, abbiamo assistito al lato negativo della globalizzazione di massa, in base a cui molte filiere produttive sono state sfaldate a causa della delocalizzazione della produzione dove i costi erano inferiori. Portando, tra l’altro, all’emergere di populismi in alcuni Paesi.
Esiste però un altro aspetto, la globalizzazione di nicchia. Faccio un esempio. Tornando dopo tanti anni al ristorante della famiglia Bologna, lungo la strada che da Asti va ad Alessandria, sullo sfondo delle colline del Monferrato sentivo le stesse voci di un ristorante di New York, con persone da tutto il mondo attratte da cibo e vino.
Voglio dire, in sostanza, che se la città, partendo dalla propria vocazione, riesce ad essere il numero uno (o comunque tra i primi dieci al mondo) in qualcosa, allora ha una grande potenzialità di sviluppo, non solo economica ma legata alle reti sociali che si vengono a creare. Attira infatti una comunità di eccellenza legata ad un ambito (enogastronomico, intellettuale) e, pur essendo piccola, riesce a funzionare come grande città perché innesca dinamiche globali.
Passando a parlare di Asti, cosa suggerirebbe?
Premetto che è una città con tantissime potenzialità grazie alla sua vocazione legata al territorio e al tessuto storico, a volte da recuperare. Per il resto, qualsiasi trasformazione dovrebbe passare dall’ascolto dei cittadini. Un suggerimento pratico? Ridurre il numero di auto nel centro della città potrebbe essere utile.