Il giorno della sentenza
Fino all’ultimo, questa mattina, il gip Giannone gli ha dato la possibilità di fare dichiarazioni spontanee, poi si è ritirato per pochi minuti e ha dettato la sentenza: 16 anni per l’omicidio della moglie cui aggiungerne altri due per la simulazione della rapina allo scopo di coprire il delitto.
Lui, Arturo Moramarco, 59 anni, macellaio di Govone in pensione, era presente alla lettura della sentenza, seduto accanto al suo avvocato, Marco Calosso e non ha battuto ciglio.
Aveva confessato
Che sia stato lui ad uccidere Roberta Perosino, operaia alla Ferrero di 54 anni nella loro casa di Govone, non ci sono dubbi: ha confessato un mese e mezzo dopo il ritrovamento del corpo senza vita della donna. Era stato proprio lui a ritrovarlo, chiamando i carabinieri e presentandosi come il marito affranto dall’aver trovato la moglie morte probabilmente a seguito di un malore o addirittura uccisa dai rapinatori che avevano messo a soqquadro la loro casa.
Una ricostruzione che aveva convinto poco gli inquirenti fin da subito. E i sospetti presero corpo dopo l’autopsia sul corpo della donna che svelava come fosse morta soffocata. E’ bastato un primo sguardo ai conti correnti della famiglia per accorgersi che quei circa 20 mila euro usciti in appena due mesi fossero segnale di qualcosa che non andava nella coppia.
Famiglia avvelenata dal vizio del gioco
Era il vizio del gioco di Arturo ad avvelenare la vita di quella famiglia e Roberta gli aveva dato un ultimatum perchè non sopportava di vederlo scialacquare cifre così importanti in poco tempo. Un rimprovero che, il 26 giugno del 2018, ha fatto scattare la follia omicida nel marito.
Anche se, ancora oggi, divergono le versioni di accusa e difesa. Per la pubblica accusa, sostenuta dal pm Simona Macciò, Moramarco, probabilmente nel pieno di una furiosa lite, ha ucciso la moglie soffocandola con un cuscino, come riportato dal consulente medico legale. Inscenando poi la rapina per farla franca.
L’imputato invece ha sempre sostenuto di non avere alcuna intenzione di uccidere la moglie, solo di farla smettere, di tacitarla per non far sentir la discussione ai vicini di casa. E nel farlo le avrebbe stretto un braccio al collo, da dietro, provocando l’arresto di flusso di sangue al cervello.
Omicidio volontario o incidente?
La differenza è fra una condanna per omicidio volontario (come è stata poi effettivamente comminata dal giudice) e quella per omicidio preterintenzionale (che beneficia di uno sconto oltre a quello già previsto per la scelta del rito abbreviato).
In aula, ieri, alla lettura della sentenza era presente anche il figlio della coppia e una delle sorelle della donna, Luciana, che si è costituita parte civile. Altra scelta invece quella delle altre due sorelle, Federica e Rosetta che non hanno voluto costituirsi per non sottrarre sostanze economiche, in caso di condanna, al nipote.
Il sottile legame con Elena Ceste
Ma erano presenti anche loro. Loro che da un’altra tragica storia di violenza su una donna erano già state sfiorate. Federica, infatti, è la moglie del fratello di Franco Ceste, padre di Elena uccisa dal marito Michele Buoninconti. Rosetta invece abita a Motta di Costigliole nella villetta dall’altra parte della strada in cui si trova la casa dei Ceste Buoninconti e conosceva molto bene la coppia.