Seduto nel salotto della sua casa nella campagna astigiana a godersi la pensione sembra impossibile che fino a due mesi fa si trovasse in Giordania, all’ambasciata italiana di Amman con gli occhi puntati sui flussi di informazioni provenienti da tutto il mondo in quella complessa rete che è l’antiterrorismo globale.
Eppure non vi è neppure l’ombra di un rimpianto per Antonio Evangelista, 60 anni, vice questore della Polizia di Stato, con una lunga esperienza di missioni all’estero.
Da corazziere dei presidenti della Repubblica Pertini e Cossiga a ufficiale di polizia giudiziaria al tribunale di Asti con incarichi all’interno della Questura. Ma sono quei 12 anni all’estero (in Kosovo per l’Onu, in Bosnia per l’Unione Europea e, infine, in Giordania per la Polizia italiana) che lo hanno proiettato in scenari di alto profilo.
In Giordania Evangelista ci ha passato gli ultimi 7 anni, compresi quelli della pandemia Covid. Era uno degli “esperti di sicurezza” che l’Italia ha dislocato nelle ambasciate ospitate nei Paesi più “caldi” del mondo sul fronte terrorismo.
Quale era il suo ruolo di analista di scenari internazionali in Giordania?
Il mio compito era quello di osservare e “leggere” tutte quelle informazioni che potevano avere a che fare con eventuali attentati o infiltrazioni terroristiche islamiche in Italia.
E quali strumenti aveva a disposizione?
Oltre alle informazioni di intelligence, mi sono costruito una rete di contatti con persone e poliziotti del posto, con accademici, giornalisti, free lance, altri osservatori ma anche con contatti di vecchia data in Bosnia e in Kosovo, Paesi dai quali molti sono “emigrati” combattenti islamici dopo la fine della guerra dei Balcani.
Può riferire di qualche sua “analisi” che ha avuto un riscontro strategico?
Il terribile attentato al Bataclan, di cui è andato a sentenza il processo nei giorni scorsi, era stato da noi intercettato. Avevamo isolato un tweet, nell’ottobre del 2015 che annunciava un grave attentato in Francia. Feci la segnalazione ai miei superiori che riferirono alle autorità francesi, ma non fu possibile scendere in maggiori dettagli.
Molti, pur ringraziando di questa circostanza, si chiedono come mai in Italia non sia mai stato fatto un attentato terroristico. Lei ha una risposta?
Non vorrei sembrare presuntuoso, ma è perchè tutte le nostre forze di polizia e di intelligence sono molto brave nel loro lavoro di prevenzione. E questa professionalità deriva direttamente dall’esperienza tutta italiana nella lotta al terrorismo interno degli anni di piombo e poi della lotta alla mafia. Mafia e terrorismo islamico hanno moltissime similitudini. Abbiamo il comitato analisi strategie antiterrorismo che si riunisce settimanalmente, esamina tutte le info, si attiva anche quando capitano le stragi fuori dall’Italia per tracciare eventuali passaggi di terroristi in Italia e vanno alla ricerca dei collegamenti con eventuali complici che risiedono da noi. E poi la tracciatura dei flussi di denaro da e per i Paesi più a rischio.
Uno dei temi ricorrenti, in Italia, è lo spettro di ingresso nei nostri confini di terroristi che si confondono gli immigrati disperati degli sbarchi. E’ una preoccupazione fondata?
Fintanto che il califfato era forte, era un falso problema, perchè i terroristi addestrati e formati non rischiavano di affogare nelle traversate o di venire uccisi, torturati, feriti dagli schiavi di uomini. Arrivavano in Europa in comodi viaggi aerei con biglietti e documenti regolari.
Ora che il califfato è stato sconfitto questo rischio è decisamente più reale, perchè si assiste un po’ al “si salvi chi può”. Chi ha sempre solo vissuto al soldo degli estremisti non sa fare niente altro ma non avendo più organizzazioni di riferimento, si ricicla nelle organizzazioni criminali. Per questo parliamo sempre più spesso di “gangsterizzazione” dell’islamismo.
Lei, in passato, è stato autore di alcuni libri. Pensa di scriverne uno anche sulla sua lunga esperienza giordana?
Dopo La Torre dei Crani, Madrasse e Il Califfato d’Europa in effetti sto pensando ad un nuovo libro, ma è ancora presto per parlarne. La pace delle colline astigiane è una bella terapia “detox” dopo tanti anni in un ambiente così diverso come la Giordania.