«In Italia l’inflazione si contrasta aumentando gli stipendi dei lavoratori. In caso contrario c’è solo spazio per la recessione».
Non ha dubbi Armando Dagna, riconfermato segretario generale della Uil Asti Cuneo in occasione del recente congresso dell’organizzazione sindacale, il terzo dopo l’accorpamento avvenuto nel 2014.
Al suo terzo mandato, l’ultimo in base a quanto prevede lo statuto, Dagna guida un’organizzazione sindacale che conta circa 20mila iscritti, di cui 6.500 nell’Astigiano: il 75% sono lavoratori attivi, il 25% pensionati.
Gli abbiamo posto alcune domande sui temi al centro del congresso e sulle principali problematiche del territorio.
Di che cosa avete discusso in occasione dell’ultimo congresso?
Ci siamo concentrati sul tema “Più diritti, meno diseguaglianze”, in quanto riteniamo che nel nostro Paese esista un problema enorme, quello delle diseguaglianze di diversa natura, ovvero legate al genere, territoriali e generazionali. Creano lacerazioni e divisioni in un Paese che sconta le conseguenze della guerra in Ucraina senza mai aver superato la crisi legata alla pandemia e, addirittura, quella finanziaria del 2008. E a pagare sono in particolare alcune fasce della popolazione…
Ci spieghi…
Ad esempio i giovani. Accedono in ritardo al mondo del lavoro e spesso con contratti precari che ne acuiscono l’insicurezza e il senso di marginalità. Per questo mi sembrano strumentali le accuse nei confronti dei ragazzi che rifiutano un impiego, come se non avessero voglia di lavorare.
Lei cosa pensa in proposito?
Penso che lo rifiutano perché le condizioni imposte sono al fuori di ogni regola: contratti sbagliati, orari eccessivi, salari inadeguati.
La «guerra contro il lavoro»
Come si è arrivati a questo punto?
Da quando anche in Italia si è recepita l’ideologia ultraliberista, per intenderci quella in cui credevano Margaret Thatcher e Ronald Reagan, si è verificata una guerra contro il lavoro. Ad esempio, è stato smantellato lo Statuto dei lavoratori e ridotto il welfare pensionistico. E il risultato è sotto gli occhi di tutti. Basti vedere la situazione attuale delle compagnie aeree: il personale, ridotto in tempo di pandemia, è ora insufficiente a rispondere alla domanda in crescita.
Una situazione molto grave particolarmente in Italia.
Per quale motivo?
Il nostro Paese è praticamente privo di materie prime, per cui la sua ricchezza è rappresentata dall’intelligenza e dalla capacità dei lavoratori di trasformare materie prime, che non abbiamo, in prodotti di qualità esportabili in tutto il mondo, apprezzati proprio perché Made in Italy. La strategia sarebbe quindi quella di valorizzare il lavoro e i lavoratori, non di svilire la normativa di settore.
La situazione dell’Astigiano
In tale contesto quali problemi principali riscontra nell’Astigiano?
L’Astigiano ormai è una provincia marginale che di sicuro non si distingue positivamente nelle classifiche sulla qualità della vita. La manifattura negli anni è andata dispersa, così come il polo di produzione dei motori elettrici. E’ in una situazione di decadenza e sembra che a nessuno interessi farle fare un salto di qualità. Certo, il turismo rappresenta un’opportunità, a patto che l’offerta sia in grado di proporre con completezza le sfumature del territorio, per favorire la permanenza dei turisti più giorni, potendo contare su strutture ricettive adeguate (in primis un centro congressi, di cui il territorio è ancora privo).
E pensare che, con Cgil e Uil, avevamo partecipato ai vari incontri dei Tavolo di sviluppo, anche ai più recenti legati alle opportunità del PNRR, elaborando proposte in merito alla sanità pubblica, all’alta formazione, alla creazione di un centro di eccellenza che aiuti la nascita di start up. Solo che, ad oggi, abbiamo avuto riscontri.
Quali sono, secondo il vostro osservatorio, i settori economici più in difficoltà nell’Astigiano?
In primo luogo l’automotive, già molto ridimensionato sul nostro territorio, in quanto sta vivendo una significativa trasformazione – quella dominata dal motore elettrico – che comporterà una profonda ristrutturazione della filiera. Poi il comparto socio-sanitario, che ha dimostrato tutta la sua debolezza durante la pandemia, senza peraltro trovare soluzioni. Se adesso l’emergenza sanitaria mettesse sotto pressione gli ospedali come nel 2020, infatti, rivedremmo la stessa “fotografia” di due anni fa.
Inoltre bisogna considerare che tutte le lavorazioni sono messe in difficoltà a causa del caro-energia e dalla difficoltà di reperire le materie prime.
L’inflazione
Preoccupato per l’inflazione?
Sì. Per contrastarla, per prima cosa bisognerebbe aumentare gli stipendi attraverso alcuni passaggi. Innanzitutto tagliando il 60% dei cosiddetti “contratti pirata”, i contratti nazionali di lavoro firmati da organizzazioni poco rappresentative che accettano proposte inadeguate. Poi, con la lotta all’evasione fiscale, bisognerebbe alzare i salari abbattendo le tasse che gravano su lavoratori e imprese. Le teorie ultraliberiste affermano che per contrastare l’inflazione bisogna bloccare i salari e lasciare liberi i profitti. Ma in Italia non funziona così, perché la maggior parte di ciò che è prodotto in Italia viene consumato internamente. Se la popolazione riduce i consumi diminuisce anche la produzione, per cui si innesca la spirale recessiva.