Indagini difensive per riaprire il processo
I biologi forensi spengono le ultime speranze di Michele Buoninconti di veder riconosciuta la sua versione dei fatti nella morte della moglie Elena Ceste.
Lui, che sta scontando una condanna definitiva a 30 anni per aver ucciso la donna con la quale ha avuto quattro figli, non ha mai ammesso l’omicidio che invece indagini accurate e tre gradi di giudizio gli addebitano.
E, a distanza di un anno e mezzo dalla sentenza di Cassazione, a novembre dello scorso anno ha incaricato una società di investigazioni private, la Falco, di compiere indagini difensive a sostegno della sua versione per chiedere la revisione del processo.
La verità delle sentenze
Le sentenze hanno restituito una dinamica molto precisa di quanto accaduto quella mattina del 24 gennaio del 2014. L’ex vigile del fuoco, uomo geloso e possessivo, dopo aver accompagnato i quattro figli a scuola a Costigliole, ha fatto rientro a casa e, in pochi minuti, ha ucciso la moglie strangolandola nella loro camera da letto. Ha poi caricato il suo corpo in auto per abbandonarlo a meno di un chilometro da casa, dentro il rio Mersa. Tutto in pochissimo tempo prima di inscenare lo stupore della scomparsa della donna e far partire le ricerche nelle campagne circostanti.
La versione di Michele
Michele in aula ha invece sostenuto che quella mattina ha lasciato la moglie a casa dopo una nottata difficile di crisi psicotiche. Lui non l’avrebbe vista al ritorno e si sarebbe preoccupato subito di cercarla proprio perché sapeva che non stava bene. La sua ipotesi è che la donna, nuda, sempre in preda alle allucinazioni, si fosse allontanata da casa e fosse stata piegata dal freddo dopo essere scivolata nel rio che si è trasformato nella sua tomba per nove mesi.
La terza versione
Gli esperti della Falco Investigazioni dovevano dimostrare una terza versione, leggermente difforme da quella sostenuta durante i processi. Ovvero che Elena, quella mattina, era sì in preda alle crisi psicotiche, era sì nuda quando uscì di casa, ma scomparve alla vista subito, a pochi metri da casa, scivolata in un tubo di cemento per lo scolo delle acque piovane, lì avrebbe perso la vita nel giro di un’ora a causa del freddo e nei mesi successivi il suo corpo sarebbe stato trascinato dalle acque, temporale dopo temporale, fino al luogo del ritrovamento avvenuto ad ottobre.
A novembre sopralluoghi e prelievo di campioni
Il perito biologo forense dottor Eugenio D’Orio insieme all’investigatore Davide Cannella e ad un gruppo di collaboratori accompagnati dal fratello e dal nipote di Michele, ad inizio novembre hanno eseguito sopralluoghi e prelievi di campioni sia all’inizio che al fondo del tubo di scolo. Tutto alla ricerca di materiale genetico e dunque di Dna che provasse il “passaggio” di Elena in quella stretta via.
Fra i campionamenti anche quello di una “simil ciocca di capelli”.
Non vi è alcuna traccia genetica di Elena
Tutto in laboratorio e a metà marzo la doccia fredda per Buoninconti: in tutto il materiale repertato non vi era traccia genetica alcuna, né di Elena, né di altri.
Il caso si chiude qui. Michele continuerà a scontare la sua lunga pena per aver tolto la madre ai suoi figli.