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Cronaca

Processo Barbarossa: arriva una pioggia di richieste di condanne

Al termine di una requisitoria durata sette ore e divisa fra i due pm della Dia di Torino. La condanna più pesante quella a 14 anni chiesta per un imprenditore

Dopo sette ore di requisitoria

Richieste di condanna pesanti quelle che sono arrivati ieri sera al termine di una requisitoria fiume dei due pm della Dia di Torino, Cappelli e Castellani, che hanno lavorato alla pubblica accusa del processo Barbarossa.
Dopo poco più di un anno di udienze, i pm hanno tirato le somme delle indagini dei carabinieri di Asti comparate con le testimonianze e le prove raccolte, con l’analisi della vera e propria montagna di intercettazioni allegate.

Chiesta la denuncia di un testimone

L’udienza si è aperta con le ultime due testimonianze, una delle quali riguardava il figlio di uno degli imputati, Angelo Stambè e la cerimonia di affiliazione di cui si parla negli atti del processo. Una deposizione che non ha convinto il pm Cappelli il quale ha chiesto per lui la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica per falsa testimonianza.
E poi la pioggia di anni richiesti al collegio di giudici presieduto dal dottor Giannone.

Per un imprenditore chiesti 14 anni di reclusione

Si va dalla richiesta più pesante, quella che ha riguardato l’imprenditore castagnolese Fabio Biglino per il quale sono stati chiesti 14 anni e 1 mese per passare a Marino Franco (13 anni e 8 mesi) e subito dopo ad Angelo Stambè (13 anni).
Il socio e collaboratore di Biglino, Alberto Ughetto è stato raggiunto da una richiesta pena di 12 anni e ha visto uno dei capi di imputazione tramutarsi da associazione a delinquere a concorso esterno.
Pesante anche la richiesta di pena per un altro imprenditore di Costigliole, Mauro Giacosa: 8 anni mentre 6 anni di condanna sono stati chiesti per Sandro Caruso (per lui chiesta l’assoluzione per il concorso in rapina). Per i pm nessuno è innocente: anche il noto commercialista Pier Paolo Gherlone è ritenuto responsabile delle accuse a lui mosse per le quali sonos tati chiesti 6 anni e 8 mesi. Pene più lievi perchè non è stato riconosciuta l’associazione a delinquere per Fabio Macario (4 anni) e Luigi Catarisano (2 anni e 6 mesi).

Costola della ‘ndrangheta piemontese

Ci sono volute circa 6 ore ai due pm per ricostruire il contesto nel quale sono maturati l’indagine prima e il processo poi sulle infiltrazioni ‘ndranghetiste fra Asti e Costigliole.
Un’inchiesta che è strettamente collegata alle grandi inchieste sulla ‘ndrangheta in Piemonte: da Minotauro ad Albachiara passando per la costola piemontese del processo Crimine. Non a caso, infatti, tutte le udienze hanno visto la partecipazione di attivisti di Libera Piemonte che hanno anche ripreso in video e audio le testimonianze per arricchire l’archivio della lotta all’illegalità mafiosa nella nostra regione.

Una mafia rumorosa, non silente

«E qui proprio non si può parlare di “mafia silente” – ha esordito il pm Castellani – Perchè sono tanti e tali gli episodi di intimidazione, di violenza e di minacce che era evidente la volontà di dare segnali della sua presenza».
Snocciolando, in rigoroso ordine cronologico, tutti gli episodi che, dal 2012, hanno segnato la mappa della ‘ndrangheta astigiana soprattutto a Costigliole.
Anche se la nascita della locale astigiana viene fissata nel 2010 al ritorno di Rocco Zangrà da un incontro con Domenico Oppedisano, in Calabria, per chiedere un distaccamento nel Basso Piemonte.
Confermato, anche nella requisitoria di ieri, il riferimento astigiano a 3 ‘ndrine famigliari nella costituzione della locale: Emma, Catarisano e Stambè con il decollo dal trasferimento di Vincenzo Emma ad Asti.

Tanti episodi di intimidazione

Dal 2012 al 2017 sono tanti gli episodi in cui questo gruppo locale, secondo i pm, si è imposto sul territorio con metodi prettamente intimidatori e di stampo mafioso: l’incendio e gli spari contro il bar del Peso, i tanti casi di spari contro auto parcheggiate, incendi di auto, l’intervento degli Stambè sulle questioni legate alle società calcistiche dilettantistiche locali, i danneggiamenti ad alcune imprese locali, svariate tentate estorsioni, la spedizione punitiva a Praia, l’aggressione violentissima al ladro che aveva rubato il camion di un Catarisano. Anche l’omicidio di Luigi Di Gianni, avvenuto nel 2013, pur non rientrando in questo processo, viene ricompreso nel desiderio di controllo del territorio attraverso la violenza.
Il processo riprenderà fra una settimana.

Daniela Peira

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