«Per evitare derive dell’intelligenza artificiale non si potranno imporre regole, ma si dovrà puntare sull’etica».
E’ solo uno dei numerosi spunti di riflessione emersi dall’interessante incontro organizzato nei giorni scorsi dall’Ufficio comunicazioni sociali della Diocesi in occasione di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. Attorno a questa data, infatti, si svolge tradizionalmente l’incontro tra il vescovo e i giornalisti locali, quest’anno incentrato sul tema che Papa Francesco ha scelto per la 58esima giornata mondiale delle Comunicazioni sociali che si celebrerà a maggio: “Intelligenza artificiale e sapienza del cuore: per una comunicazione pienamente umana”.
Relatore d’eccezione, invitato dal vescovo Prastaro e dal responsabile dell’Ufficio comunicazioni sociali Michelino Musso, è stato don Luca Peyron, referente della Pastorale universitaria della diocesi di Torino e della Regione, nonché coordinatore del Servizio per l’Apostolato digitale. Tra i suoi numerosi incarichi, anche quello di membro dello Humane Technology Lab (HTLAB) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Le conseguenze nell’ambito del giornalismo
Partendo da alcuni esempi di intelligenza artificiale applicata nel campo del giornalismo, con conduttori “finti” al posto di esseri umani in India e Cina, Peyron ha innanzitutto sottolineato le caratteristiche di questo processo e le conseguenze sul settore.
«L’intelligenza artificiale – ha affermato – riesce a raccogliere, produrre e distribuire notizie. Infatti, essendo generativa, è in grado di produrre testi di senso partendo da un database. E, volendo, di imitare lo stile di giornalisti stimati. Oltre alle ricadute occupazionali, bisogna tenere conto anche di altri problemi. Innanzitutto il fatto che l’intelligenza artificiale non ha coscienza di sé: non sa quello che sta facendo, in quanto obbedisce semplicemente a regole di tipo statistico. Inoltre è sprovvista del cosiddetto “senso comune”, per cui deve essere accompagnata da persone, spesso pagate pochissimo dall’altra parte del mondo, che la sostengono da questo punto di vista. Infine è al centro di una società digitale basata sul sistema predittivo. Cosa significa? Tutto ciò che una persona legge e fa sul web consente alle macchine di accumulare dati sui suoi gusti e comportamenti per prevedere cosa farà in futuro. In questo modo la macchina può incidere sulla realtà: proporre un prodotto, decidere una campagna elettorale (si pensi al caso Brexit) o un investimento produttivo».
La tecnologia e le sue origini
Un concetto, quest’ultimo, sottolineato più volte per evidenziare la differenza principale con le innovazioni tecnologiche del passato. «L’intelligenza artificiale non è neutra – ha evidenziato – in quanto prende decisioni autonome. Nasce per incidere sulla realtà».
Il tema è quello della vocazione umana. «L’algoritmo non dovrebbe creare dipendenza – ha incalzato – ma rispettare la vocazione umana. Un aspetto cui si lega la differenza tra avatar e giornalista-essere umano: il primo confeziona notizie partendo da un database, il secondo scrive notizie che interpellano l’essere umano che è nel lettore, riconoscendone la dignità umana».
Don Peyron ha poi ricordato che l’intelligenza artificiale non è una novità recente, ma affonda le sue radici negli anni Cinquanta. «Inizialmente – ha spiegato – doveva imitare l’essere umano in ciò che gli è precipuo, ovvero l’intelligenza. Ma il progetto non è riuscito, per cui aziende e università hanno smesso di investire. Negli anni ‘80 e ‘90, però, ha cominciato ad essere applicata al gioco della dama e degli scacchi: non era ancora una tecnologia “intelligente”, ma comunque performante. Poi, con la pandemia, è arrivata ChatGPT, con l’intelligenza artificiale creativa che abbiamo tutti ormai sotto gli occhi. Ma non c’è ancora nulla di deciso. Le macchine le costruiamo noi, siamo noi che dobbiamo decidere dove possono arrivare. Guardiamo in profondità il presente per decidere cosa vogliamo che succeda».
Il rapporto tra essere umano e macchina
La grande questione, quindi, è il rapporto tra essere umano e macchina. «Bisogna stare attenti – è stato il monito – perché per dare istruzioni alle macchine in modo che siano recepite bisogna uniformarsi a come operano. Ma questo standardizza le persone e allontana la facoltà del pensiero. Basta riflettere su come ragionano coloro che sono nati nell’era digitale: pensano che ad ogni domanda ci sia una molteplicità di risposte immediate. Peccato che non sia sempre così: esistono quesiti profondi cui si può dare risposta solo riflettendo una vita, altri che sono così stupidi da non avere risposta».
Per evitare derive a causa dell’intelligenza artificiale, quindi, l’unica strada percorribile è quella dell’etica. «La via dell’imposizione di regole non è praticabile, in quanto il potere delle multinazionali del digitale è così elevato che le regole sono imposte da loro. Hanno creato un monopolio privato inscalabile che maschera una nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina, situazione geopolitica in cui la piccola Europa conta poco. La strada è un’altra. Siccome si tratta di imprese basate sull’appetibilità del prodotto, possiamo difenderci con l’educazione del desiderio, che coincide con l’etica, il motore principale dell’essere umano. Si può desiderare, ad esempio, di leggere un articolo scritto meglio rispetto all’intelligenza artificiale, seguire un telegiornale in cui il conduttore è un essere umano. Per la prima volta nella storia, anche la Chiesa interviene su un processo che è in itinere, stimolando ad educare il desiderio al bello, al buono e al vero. Ed è anche ascoltata».