La pioggia non ha fermato la curiosità dei tanti che venerdì sera hanno aderito all’invito di incontrare Fabio Schembri, l’avvocato difensore di Olindo e Rosa, la coppia di coniugi condannata per la strage di Erba in cui morirono quattro persone (delle quali uno era un bambino) e venne gravamente ferito il marito di una delle vittime.
Una vicenda che tenne banco per molto tempo sui media nazionali e che, quando tutto sembrava ormai finito e risolto con la condanna definitiva di marito e moglie, è tornata a far parlare proprio in seguito alla richiesta di revisione del processo perorata dall’avvocato Schembri.
Ora, 18 anni dopo quel terribile massacro nella palazzina di Erba, ai primi di marzo la Corte d’Appello di Brescia valuterà i nuovi elementi e deciderà se rifare il processo o lasciare che la condanna abbia il suo corso.
La revisione di un processo è un “quarto grado” previsto dal nostro ordinamento giudiziario cui si ricorre in rarissimi casi, come ha spiegato Roberto Caranzano, ideatore dell’incontro nella sua doppia veste di assessore al Comune di Tigliole e di affermato avvocato penalista che ha chiamato il giornalista Beppe Rovera per moderare la serata.
Il caso di Olindo e Rosa, poi, è connotato da una circostanza ancora più rara: la richiesta per la revisione del processo è firmata dal pool di avvocati difensori guidato da Fabio Schembri ma è stata anche sottoscritta dal sostituto procuratore generale Cuno Tarfusser.
L’avvocato Schembri a Tigliole ha anticipato con un entusiasmo da arringa finale, i motivi che hanno portato a dubitare fortemente della colpevolezza dei due coniugi.
«Tre sono i punti cardine sui quali si è fondata la sentenza di condanna di Olindo e Rosa. Il primo è il riconoscimento da parte di Mario Frigerio, colpito gravemente alla gola ma sopravvissuto grazie ad una malformazione congenita della carotide; il secondo è la traccia di sangue rinvenuta sul battitacco dell’auto di Olindo; il terzo è la confessione dei due coniugi. A vederle così le cose sembrano di una semplicità disarmante, sembra una vicenda che non poteva che chiudersi con la loro condanna, ma andando ad approfondire ognuno di questi elementi, soprattutto incrociando tutti gli atti che erano stati compiuti e in particolar modo le intercettazioni ambientali e telefoniche, si conclude che a galla sono state portate solo quelle parti che indicavano la colpevolezza dei due».
A partire dal riconoscimento di Frigerio, quello che in tanti hanno visto anche in video dal suo letto di ospedale. «Noi riteniamo che quello sia un ricordo “costruito” da parte di un uomo che ha subito un gravissimo trauma. Nei primi giorni dal suo risveglio dopo gli interventi dovuti all’aggressione – ha spiegato Schembri – lui non solo non fa il nome di Olindo, che conosce benissimo essendo il suo vicino di casa, ma parla di un uomo con corporatura, tratti e colori della pelle totalmente diversi da quelli di Romano. E’ solo dopo successivi incontri con gli inquirenti (alcuni dei quali “tagliati” dalle intercettazioni ambientali fatte nella stanza di ospedale) che arriva ad indicare Olindo».
La confessione è un altro punto dolente per la difesa: «Credetemi, se dietro non ci fosse l’immane tragedia di quattro vittime e di una coppia che da 17 anni sta scontando una pena in carcere, ci sarebbe da ridere. Rosa è manifestamente una donna dalle ridotte capacità cognitive; Olindo “funziona” meglio ma è affetto da una patologia psicologica riconosciuta che lo spinge a credere a tutto quello che gli viene detto. E loro più volte mi hanno detto che hanno confessato perchè veniva detto loro che era la cosa giusta da fare dietro la promessa di una “cella matrimoniale” in un carcere speciale dove avrebbero potuto scontare insieme la pena. Basta questo per capire quanto poco genuina possa essere considerata la loro confessione. Tanto più che in tutte le intercettazioni a loro carico subito dopo l’omicidio, quindi in momenti in cui non sapevano assolutamente di essere ascoltati non hanno mai fatto un solo riferimento ad una loro responsabilità. E non sono due persone così scaltre da eludere questo tipo di confidenze fra loro se fossero stati gli autori».
La macchia di sangue sull’auto. Anche qui l’avvocato Schembri solleva molti dubbi perchè è invisibie all’occhio nudo e non vi è traccia fotografica di un rilievo con Luminol.
Lunga la lista testi già pronti per deporre. Fra essi diversi carabinieri e inquirenti che indagarono sul caso chiamati a riferire sulle modalità in cui avvennero alcuni accertamenti e vennero raccolte alcune testimonianze, a partire da quella di Frigerio. E poi un “plotone” di consulenti tecnici di altissimo livello su tutti gli accertamenti tecnici e sulla ricostruzione della dinamica della strage.
Fra i testimoni anche un uomo che conosceva da vicino la rete di spaccio nella quale era invischiato il compagno di Raffaella Castagna, una delle vittime e madre del piccolo Youssef Marzouk ucciso con un coltello nella sua cameretta, per riferire che un’aggressione con le medesime modalità era avvenuta qualche tempo prima da parte della “banda di spaccio” per ragioni legate a debiti di droga.