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Asti, addio alla staffetta “Adele”, aveva 100 anni: era la vedova del Comandante Leo

Era la vedova del noto Comandante Leo della brigata partigiana Rocca d’Arazzo. Il racconto della sua Resistenza affidato alla giornalista e scrittrice Laura Nosenzo

Addio ad un’altra testimone della Resistenza astigiana: ieri è infatti scomparsa la staffetta partigiana Adelia Pastene Gerbi, conosciuta con il nome di battaglia Adele.

La donna era originaria di Calamandrana ed era la vedova di Giuseppe Gerbi, il notissimo comandante partigiano Leo della Brigata Rocca d’Arazzo della II Divisione Langhe.  Ora viveva a Rapallo con le figlie Mariella e Daniela.

Dopo i funerali che si tengono questa mattina nella città ligure, la salma di Adelia verrà portata al cimitero di Isola Villa per riposare accanto al marito, originario di Isola cui il Comune aveva dedicato anni fa una piazza proprio per onore il grande contributo che diede alla lotta partigiana astigiana.

 Adele ha sempre mantenuto vivido il ricordo degli anni in cui era staffetta ed era stato raccolto dalla giornalista e scrittrice Laura Nosenzo che le aveva dedicato un capitolo del libro “Io c’ero. Cinquano storie dal fascismo alla liberazione” (Edizioni Araba Fenice).

Qui di seguito, su autorizzazione dell’autrice, il racconto contenuto nel libro.

Il lasciapassare dell’intrepida Adele

Ho camminato tanto, ma tanto. E pedalato. Chilometri di strada da sola, ogni volta, con i messaggi nel reggiseno da consegnare a questo e a quel comandante, o con partigiani e renitenti che dovevo accompagnare dove non avrebbero saputo arrivare.

Io potevo andare dappertutto: avevo con me il lasciapassare del Comando regionale tedesco di Torino per il mio lavoro alla Fiat. Arrivavo dove volevo, quando incontravo i fascisti tiravo fuori il permesso e dicevo sicura di me: “Sto andando a lavorare”. Magari, invece, ero appena partita per portare un messaggio di Leo, il mio comandante.

Alla Fiat erano i tempi di Vittorio Valletta. Ero impiegata agli Uffici Bilanci e avevo una certa libertà di movimento, potevo andare e venire, a volte stare fuori anche qualche giorno, nessuno mi controllava. I Pastene alla Fiat li conoscevano bene, oltre a me vi lavoravano i miei genitori e gli zii.

Dunque da Torino partivo in treno con il lasciapassare, raggiungevo Asti e da quel momento da Adelia che mi chiamavo diventavo Adele la staffetta.

Tante volte non c’era niente da nascondere sotto la camicetta perché il messaggio era a voce, parole che ripetevo dentro di me mentre camminavo fino a quando non arrivavo a destinazione partendo da Mongardino, dove la popolazione ci ha sempre aiutati: Vigliano, Agliano, Montegrosso, Bruno, Calamandrana, Nizza, Alessandria. Altre volte non portavo biglietti e non accompagnavo nessuno, ma svolgevo altri compiti, ero brava a trovare cibo per i partigiani, non avevo vergogna di chiedere.

L’impresa più audace è stata con Luigi Garrone, Sfregiato, quando con un calesse, trainato da cavallo da corsa preso ai tedeschi, siamo andati a recuperare a Nizza Monferrato un sacco di pasta e uno di riso dopo un viaggio durato sei ore e aver incrociato truppe di occupazione e camicie nere.

Avevo 21 anni nel 1944. Ai miei non ho mai detto che stavo con i partigiani, non sapevano nulla. Li salutavo dicendo che andavo a Isola d’Asti da mia zia Pina, la mamma di Leo, Giuseppe Gerbi, mio cugino. Conoscevo bene quei posti, sono nata a Calamandrana e per anni vi abbiamo passato l’estate.

Erano tempi duri, stavo continuamente in mezzo al pericolo, ma senza paura, guidata da un unico pensiero e da tutta la volontà possibile: fare qualcosa per il mio Paese. Quello del comandante Leo era un gruppo di partigiani molto unito, ho vissuto tanto con loro, ci volevamo bene. Leo, poi, l’ho amato. Ma dopo la guerra, e quando l’ho conosciuto mi ha fatto venire il nervoso. Nella nostra famiglia c’erano tanti cugini, io ero affezionata a Angelo, suo fratello, che un giorno ci presentò. “Sai chi è? – chiese a Leo – E’ Adelia, tua cugina…”.

“Una delle tante?” commentò lui.

“Che? Una delle tante?! – pensai stizzita – Lo odio, questo pezzetto di ufficiale…”.

Giuseppe aveva fatto la guerra sul fronte occidentale e poi in Tunisia, dove era stato ferito. La Resistenza doveva ancora arrivare. Mi tenni sullo stomaco, per anni, quella battuta infelice e intanto iniziò la nostra stagione di combattenti per la libertà. Dopo la guerra Leo si dichiarò e io mi presi la rivincita: gliela feci trovare lunga. Ci sposammo nel 1947.

Il gruppo della Brigata Rocca d’Arazzo si disperse, ognuno ricominciò a modo suo: chi rimase, chi emigrò. Nel 1948 Nino Pusterla, Beca, mi spedì da Oslo una fotografia: sette partigiani con la loro staffetta, che ero io. Adele sorrideva spigliata in mezzo a loro. Tre anni erano passati dalla Liberazione e c’era chi ancora si ricordava della ragazza del lasciapassare! I partigiani di Leo continuavano a essere una grande squadra.

Oggi, come allora, guardo la fotografia con tenerezza e orgoglio. E’ passato molto, molto tempo.

Adelia e Adele rimangono sempre della stessa idea: la libertà è un bene da difendere, sempre.

E allora, come adesso, questo è tutto quel che conta.

 

Adelia Pastene Gerbi, Adele, classe 1923

staffetta Gruppo Leo, Brigata Rocca d’Arazzo, II Divisione Langhe

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