L’Asti Dry (o AstiSecco) è destinato a tenere banco già dalla prossima, imminente vendemmia
Era stato un sussurro, un battito d’ali all’apparenza leggero e solitario. Al contrario l’Asti Dry o, come si preferisce chiamarlo nella versione più italianizzante, l’AstiSecco è destinato a tenere banco già dalla prossima, imminente vendemmia. Aveva esordito la casa vinicola Santero alla festa dei Conferenti, lo scorso giugno, riscuotendo significativi consensi sotto gli occhi attenti dei propri produttori.
Ha risposto con altrettanta costanza la Sant’Orsola di Cossano Belbo. In mezzo c’è il mondo delle bollicine più dolci al mondo, un tempo le più vendute sul pianeta che, adesso, segnano pesantemente il passo. Tutti ad interrogarsi se l’AstiSecco è il futuro dell’Asti tradizionale. Un’evoluzione che potrebbe apparire una forzatura se in mezzo non ci fossero 25 milioni (o più) di bottiglie perse in un paio di stagioni.
«E’ necessario un cambiamento di rotta – ha sostenuto Paolo Ricagno, assertore della “nuova via” dell’Asti – una nuova visione di questo vino in chiave di mercato. Le tendenze, oggi, vanno verso prodotti dal gusto più secco. Se vogliamo salvare la redditività dei nostri vignaioli e il nostro mercato questa è la strada».