C’è fermento tra i dipendenti delle Poste Italiane. L’Ente sta mettendo a punto un accordo per il conferimento di un ulteriore 35% delle azioni a Cassa Depositi e Prestiti e questo fatto crea qualche preoccupazione
C’è fermento tra i dipendenti delle Poste Italiane. L’Ente sta mettendo a punto un accordo per il conferimento di un ulteriore 35% delle azioni a Cassa Depositi e Prestiti e questo fatto crea qualche preoccupazione. proviamo a ripercorrere un po’ di storia. Nell’ottobre 2015 Poste Italiane è stata quotata in borsa con la prima tranche del 35% di azioni, avvenimento celebrato con tanto di “cerimonia della campanella” a Wall Street dell’amministratore delegato Francesco Caio. Dal 2000 l’azienda più grossa d’Italia per numero di dipendenti, produce utili dal 2000 e lo Stato ne beneficia con la riscossione dei dividenti.
«Questa operazione di pura finanza – dicono Renato Damiano, Gildo Armeni e Gerardo Curcio della Cgil – resta spiegabile solo con il fatto che l’Unione Europea ha chiesto al Governo di ridurre il deficit vendendo i “gioielli di famiglia”. E’ simbolico che per fare questo si vada a pescare un’azienda sana». Ma questo non è tutto. «Essendo la cassa Depositi e Prestiti governata per il 20% da Fondazioni Bancarie – hanno continuato i sindacalisti della Cgil – si capisce che ci troveremo di fronte ad un conflitto di interessi tra banche e poste per la raccolta dei risparmi, conflitto che avrebbe come possibile conseguenza la messa definitiva sul mercato dell’ultimo 30% pubblico».
Il timore dei sindacalisti è che, così facendo, l’azienda perderebbe la sua funzione altamente sociale per puntare solo al profitto. «Avrebbe un occhio di riguardo per le attività altamente produttive – hanno continuato – , mentre vivrebbe come fastidio il costo del recapito e della logistica». Ovviamente dietro un’operazione del genere, se la visione del sindacato è corretta, ci sarebbe anche il rischio di perdita di posti di lavoro e di riduzione del servizilo di recapito a tutto danno della cittadinanza che usufruirebbe di un servizio qualitativamente inferiore.
E cosa potrebbe capitare agli uffici dei centri minori? Secondo i sindacalisti della Cgil «il nuovo management postale considererebbe superflui gli uffici postali minori, giudicando soltanto il numero delle operazioni effettuate e non il servizio sociale che svolge per la popolazione. Per questa ragione vogliamo che gli astigiani sappiano che che lo sciopero che proclameremo probabilmente nel mese di settembre non sarà contro la cittadinanza ma a favore della cittadinanza, perché vuole perseguire le giuste istanze sociali che il nuovo minacciato assetto rischia di cancellare».
L’intervento dei rappresentanti sindacali termina lanciando un appello a parlamentari e amministratori del territorio, ai politici tutti di vigilare «su questa operazione, al fine di sensibilizzare la cittadinanza sul rischio che corre, quello di vedere sparire in nome di una logica puramente mercantile, un servizio e una presenza storica sul territorio. Le teorie del profitto si basano sul minor costo del lavoro e quando si parla di tagli al sociale la sola conseguenza è il peggioramento del servizio».