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Lettera dopo lo spettacolo “Dormono sulle colline”: «Non è giusto tacere»

Una delicata ma al contempo appassionata lettera di uno spettatore che ieri ha assistito allo spettacolo al cimitero di Castelnuovo Belbo

Riceviamo e pubblichiamo questa appassionata lettera inviata da Flavio Gotta alla Compagnia Teatrale Gli Acerbi.

«Non è facile ringraziare per qualcosa difficile da descrivere, per lo squarcio su un mondo inafferrabile, ma non è giusto neanche tacere di fronte a questo regalo così grande, per questo scrivo qualche riga per dire grazie alla Compagnia degli Acerbi per lo spettacolo-esperienza “Dormono… sulle colline” che ho avuto l’onore di vivere all’imbrunire di venerdì 30 agosto nel cimitero di Castelnuovo Belbo.

Scrivo superando i timori e i tabù, uscendo dalla botte per provare a raccontare quello che è stato oltre, in terra come nel cielo delle emozioni!

Grazie per avermi accompagnato in un luogo che richiama la morte ma che in quell’ora ha solo profumato di vita con l’odore delle cartoline che ad ogni tappa avete costruito (vestiti che parlavano perfettamente in sintonia con le situazioni, in particolare ho apprezzato i colori degli abiti tra lo sbiadito dell’anima e il tratto netto della realtà), rievocazione di un passato che si faceva presente in quel cimitero di paese, con modalità che la vostra arte ben realizzata ha saputo far risorgere, richiamando ambienti di cui ho pochi ricordi se non nei racconti che i miei vecchi facevano e situazioni che ho sfiorato… così avete riagganciato una catena spezzata dall’idea che dopo la morte nulla più è, una catena che se inizi a ripercorrerla fa del passato un presente tastabile ed insieme ti prende per mano aprendoti la porta di un futuro che sarà anche il tuo, che trasfigura la parola “fine” e che pare potersi fare addirittura presente eterno.

Grazie per le voci belle (veramente belle), concatenate, delicate, precise e ritmate come le mani che sulle corde della chitarra hanno coccolato e tenuto il tempo di quel viaggio, del viaggio della Vita facendomi anche scoprire anfratti delle canzoni di De Andrè che suono e canto da quando sono giovane e che non avevo ancora capito: avete portato l’arte di De Andrè ancor più dentro alla mia piccola comprensione e allargandomi lo sguardo su misteri universali avete fatto sì che mi si raccontassero dentro… non so se rendo l’idea del regalo ricevuto!

Grazie per aver narrato con maestria interpretativa storie che da vivi consideriamo “malate”, peccaminose, tristi, tragedie, povertà, miseria, vite non degne di tale nome, ma che con la morte trovano dignità, quando si trova il coraggio di portare alla luce gli angoli di vergogna che sono i più densi di Vita. Storie di violenze, ingiustizie, stupri, prepotenze e tradimenti, di amori di una vita, di amori per i figli gestiti male da vivi, trasfigurati da morti, storie di fedeltà tentata e di bugie taciute motore del cammino dell’esistenza di tanti e tanti, di tutti coloro che hanno avuto il coraggio di affrontarle senza rinchiudersi in un quieto vivere che ci fa zombi immortali senza problemi. Avete raccontato la dignità di quei cammini che ci avete fatto fare anche passeggiando in punta di piedi nel cimitero diventato maestralmente luogo del canto della Vita. Il regalo più grande di vedere sorella morte come il calesse che ti porta vita.

Capite che potrei non fermarmi perché quando qualcuno taglia la tela dell’esistenza facendone intravedere il mistero grande che sta oltre al primo sguardo e in cui essa è avvolta, non ci sarebbero parole e pagine sufficienti per descrivere quanto si scorge.

Chiuderei il mio grazie così: sono sempre entrato con poca voglia nei cimiteri, quasi come fossero un luogo di non senso, dove vai per provare a tirare su dalla fossa comune cadaveri inanimati che vorresti ancora in vita ma che la tua logica razionale sa che non sono più. E mentre sei lì non riesci a non chiederti “se ci sono chissà dove sono adesso?” avendo la netta percezione di stare in un luogo dove non c’è più nessuno e se va bene qualcuno dall’alto ha la pietà di gettare uno sguardo verso te proprio nel momento in cui sei lì a passeggiare per onorare una memoria che più passa il tempo più ti sembra solo tua. Con questa disposizione d’animo le foto sulle lapidi mi hanno sempre fatto tristezza perché mi sembravano l’ultimo pietoso tentativo di tenere il ricordo di qualcuno che non esiste. Voi avete fatto parlare quelle foto, erano vive di passione. Passeggiavo con voi nel cimitero e quei volti parlavano, le rughe o i sorrisi più o meno severi della gente piemontese e non, di chi ha calpestato la nostra terra alzando polvere e scavando solchi improvvisamente mi parlavano della loro e della mia storia. Li avete resi presenti voi, gli avete regalato la forza della comunicazione, e se si comunica si è vivi! Mi avete dato la possibilità di stare in comunione con gente che non conoscevo ma che aveva uno sguardo parlante, vivo, per la prima volta ha avuto un senso visitare un cimitero come fosse una pinacoteca di sguardi davanti ai quali ci si ferma e ci si lascia avvolgere.

… e grazie ai due folletti che ci accompagnavano con sorrisi, gesti delicati, premurose indicazioni che hanno la stessa leggerezza e incisività di chi non vedi e non tocchi ma c’è e ti accompagna… avete studiato uno spettacolo che diventa esperienza per davvero… sono l’ultimo a poterlo dire, se sono anni che lo replicate un motivo c’è, ma sarebbe ingiusto tenere costretta dai cerchi della botte questa ennesima perla sbocciata solo per la vergogna di dirlo, solo perché “tanto è roba scontata”, “chi sei tu per manifestare la tua”…tradirebbe l’idea stessa che con Spoon River, con De André e con la magia del vostro fare teatro avete saputo portare anche a uno come me.

Flavio Gotta 

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