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Infermieri del 118
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Infermiera del 118: “Ciò che fa più effetto è il terrore negli occhi di chi soccoriamo”

“Guerrieri con la spada di cartone”, così ha definito la categoria un’infermiera astigiana che da oltre vent’anni lavora sulle ambulanze del 118

Infermiera del 118: “vediamo il terrore negli occhi di chi soccoriamo”

“Guerrieri con la spada di cartone”, così ha definito la categoria un’infermiera astigiana che da oltre vent’anni lavora sulle ambulanze del 118. Una spada di cartone con cui difendere il corpo e l’anima perché se le conseguenze più visibili di questa pandemia sono sul corpo, anche la coscienza ne è segnata e se non scoppiano bombe e non rimangono macerie, questa è lo stesso una guerra che loro, “gli angeli”, gli “eroi”, come li abbiamo chiamati, combattono in prima linea.

Stiamo facendo solo il nostro lavoro

“Ma non siamo niente di tutto questo – si schermisce l’infermiera – stiamo semplicemente facendo il nostro lavoro con la consapevolezza che questa non è una situazione ordinaria, che tutto è nuovo e più difficile e che sì, in effetti ci marchia anche il cuore. Nessuno di noi era preparato a una tale emergenza e tutti ci stiamo mettendo il massimo per sopperire alle numerose carenze.”

Turni lunghi anche dodici ore

Quello che c’è non è quello che servirebbe, i turni sono lunghi, dodici ore di incognite e incertezze, di ansia e dolore chiuso in gola “perché quando ci chiamano non sappiamo mai chi c’è dall’altra parte e, anche se l’intervento è preceduto da una breve intervista telefonica per avere indicazioni, tutti potrebbero essere pazienti positivi; e un infarto, un malore o un semplice malessere – continua l’operatrice del 118 – potrebbero nascondere ben altro.”

Ogni volta bisogna bardarsi

Per questo, ogni volta, bisogna bardarsi “nel caso in cui”, procedure lunghe e complicate che portano via tempo, che stancano, che aggiungono tensione. In più i dispositivi di protezione scarseggiano e spesso bisogna, caso per caso, valutare se è necessario indossarli. “Si inizia con la vestizione che segue una modalità ben precisa – sottolinea l’operatrice – si indossa la tuta completa di cappuccio, gli occhiali o la visiera, la mascherina FFP2 che deve essere posizionata correttamente, due paia di guanti che devono passare sopra al polsino della tuta per sigillare ogni possibile apertura e i calzari, che devono coprire il bordo dei pantaloni. Poi, a vestizione ultimata ci si controlla a vicenda.

Dopo il soccorso la svestizione

Al termine del soccorso avviene la svestizione che deve essere ancora più meticolosa perché comunque noi diamo sempre per scontato che il malato trasportato sia positivo.” E mentre l’ambulanza viene subito sanificata, gli operatori si svestono in un apposito locale dove l’entrata e l’uscita sono ben separate. “Procedura che va fatta con estrema cautela per evitare di contaminarsi, togliendo un pezzo per volta, passando di frequente il gel disinfettante sui guanti – racconta l’infermiera – un’altra operazione lunga che somma ansia a quella provocata dall’intervento e genera preoccupazione per noi stessi e per i nostri famigliari, perché per quanto si faccia attenzione, sappiamo di essere esposti e che molto facilmente, ogni volta, potremmo prendere il Covid -19, così adottiamo uno pseudo isolamento, teniamo le distanze dai parenti, a casa cerchiamo di stare in stanze separate, di usare oggetti diversi, di mangiare a orari differenti, sempre con la paura perché intanto ci sono colleghi che si stanno ammalando.”

Misurazione della temperatura

Ma i tamponi per ora non si fanno, a meno che non ci siano sintomi, l’unica accortezza è la misurazione della temperatura all’inizio del turno e se questa risulta superiore ai 37,5 si avvisa il coordinatore e si torna a casa. “Tra una chiamata e l’altra – continua l’operatrice – si controlla che il materiale utile ci sia e sia a posto, se manca ci si ingegna per trovare soluzioni alternative, ci si parla, ci confrontiamo, ci confortiamo, tutto a distanza, si mangia lontani, si aspetta la prossima chiamata.”

Turni coperti da cinque ambulanze

I turni, su Asti e provincia sono coperti da cinque ambulanze (quattro medicalizzate e una “india”) “e quando arriviamo sul posto – commenta l’infermiera del 118 – c’è una cosa che accomuna tutti i malati ed è lo spavento, gli occhi trasmettono confusione, preoccupazione, solitudine, la stessa che proviamo anche noi, insieme a una tristezza infinita soprattutto verso gli anziani delle case di riposo, quelli che adesso sono particolarmente colpiti, quelli che difficilmente torneranno, cui non puoi nemmeno fare una carezza o guardare negli occhi senza barriere.”

Una guerra senza bombe

Una guerra senza bombe quindi ma sempre una guerra, che ferisce in egual misura e se non contagia, pesa comunque sul cuore degli operatori sanitari tanto che l’azienda ha messo a loro disposizione un servizio di supporto psicologico per parlare con qualcuno che capisca, per raccontare, per ridimensionare, per dare un senso. Ovviamente a distanza.
Monica Jarre

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