Il piano sicurezza per gli ospedali italiani, compreso quello di Asti che già era stato scelto nelle scorse settimane per la sperimentazione della cosiddetta videosorveglianza dinamica, ha visto un’accelerazione dopo la serata di tensione nata dall’incidente stradale mortale con aggressione verbale già ai soccorritori dell’ambulanza, sul posto con prosecuzione al Pronto Soccorso. Dove, ad attendere ambulanza e parenti, c’erano già due pattuglie della Polizia pronte ad intervenire.
Dunque il progetto di provare al Cardinal Massaia il sistema per il quale sono già stati firmati i protocolli in Prefettura da farmacisti e negozianti, prende sempre più corpo. Si tratta di telecamere sistemate nei punti più critici dell’ospedale (Pronto Soccorso in testa) che si attivano con un semplice pulsante da premere ogni qualvolta si verifica una situazione di criticità, di varia natura. Questo basta per collegare le immagini direttamente alle centrali operative delle forze dell’ordine che possono così, in tempo reale, capire cosa sta capitando ed inviare le pattuglie necessaria a seconda del tipo di intervento.
Ma come fare se il personale sanitario e i soccorritori stanno facendo un intervento per strada, su un’ambulanza, dentro una casa o anche in ospedale ma in una zona non coperta dalla videosorveglianza dinamica e non riescono a comunicare la loro richiesta di aiuto?
La soluzione è stata prospettata dall’assessore alla sanità della Regione Piemonte Riboldi ai sindacati degli infermieri incontrati ieri per un confronto su svariate tematiche legate alla professione.
L’idea è quella di dotare il personale sanitario di dispositivi elettronici da portare al braccio (tipo braccialetti elettronici o smart whatch, per intenderci) che possono inviare, con un semplice tocco, un segnale di allarme alle forze dell’ordine con contestuale geolocalizzazione. La sperimentazione all’ospedale di Asti dovrebbe iniziare con una decina di braccialetti elettronici.
«Non bastano, per quanto utili, strumenti elettronici, ma servono degli interventi che funzionino da deterrente. Ben vengano le telecamere e i braccialetti elettronici, ma riteniamo che sia fondamentale inserire presidi di polizia, carabinieri o esercito sulla scia del progetto ‘Strade Sicure’», commenta Claudio Delli Carri, segretario regionale del sindacato Nursing Up Piemonte e Valle d’Aosta.
«Leggere del braccialetto mi ha fatto un po’ senso e francamente mi ha intristito parecchio
perchè sta diventando veramente surreale questa situazione – dichiara Francesco Coppolella,
segretario regionale del NurSind – Veramente siamo arrivati al punto di mettere un
braccialetto al personale sanitario? Abbiamo un serio problema in Italia allora che
dovrebbe imporre alla politica scelte e azioni più complesse rispetto alla sola e legittima
richiesta degli operatori di garantire la sicurezza. Siamo i primi a chiedere misure rassicuranti, pene esemplari e presidi fissi ma non credo basti questo, non vorrei trasmettessimo e alimentassimo sempre più incertezze mentre invece abbiamo bisogno del contrario».
Sulla strada, negli interventi, oltre al personale sanitario, sono sempre presenti anche i volontari, così come è successo anche sull’incidente di corso Casale. E per Davide Fontebasso, presidente della Croce Rossa di Asti, l’introduzione di dispositivi elettronici che aumentino il livello di sicurezza dei soccorritori è auspicato e atteso.
«Siamo favorevoli all’utilizzo, ad esempio, di dash cam da fissare sulle divise dei nostri volontari e soccorritori – dice il presidente Croce Rossa – così da registrare tutti gli interventi, meglio se in diretta con un operatore esterno, che possa eventualmente mandare rinforzi e aiuti in caso di aggressioni. Perchè spesso non è possibile neppure chiedere aiuto a causa di mancanza di campo dei cellulari o di impossibilità di tornare all’ambulanza per farlo via radio».