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Cronaca
L’intervista

Nizza Monferrato, parla Makka: «Quando uccisi mio padre ero fuori di me dal terrore»

La ragazza, appena 19enne, racconta per la prima volta come si viveva nella sua famiglia con la costante paura della violenza dell’uomo. E difende la madre dalle critiche

Per la prima volta, dopo l’omicidio del padre avvenuto agli inizi di marzo in un alloggio di Nizza Monferrato, Makka Sulaev, all’indomani della prima udienza che si è tenuta in Corte d’Assise ad Alessandria, parla di quei fatti e, soprattutto,  di come era la loro vita con quel padre violento in casa. Una violenza che, il primo marzo scorso, ha spinto la ragazza ad afferrare un coltello e a scagliarsi contro l’uomo che stava picchiando sia lei che la madre.

Alla prima udienza però Makka non ha potuto  contare sulla presenza della madre in aula; la donna, essendo una testimone che sarà sentita nelle prossime udienze, non poteva restare in aula. Ma  è costantemente nei pensieri della figlia, che sente l’esigenza di difenderla da molte critiche giunte.
A quali critiche si riferisce?
Dicono che mia madre non avrebbe dovuto coinvolgermi nelle minacce di morte che gli rivolgeva mio padre, ma tutti devono sapere che, quel giorno, lei mi ha girato tutti i messaggi che riceveva da mio padre perché glielo avevo chiesto io. Sono stata io a dirle di mandarmi ogni messaggio: lei non aveva intenzione di farlo, ma era spaventata e non sapeva cosa fare in quella situazione. Quasi costretta da me, mi ha inviato tutto. Nessuno dimentichi che è una vittima di anni di soprusi.
Vittima sua madre, vittima lei, vittima tutta la sua famiglia?
Tutti a casa subivamo violenza, ognuno di noi almeno una volta è stato picchiato, umiliato e ogni giorno diventava sempre più insopportabile. Certo mia mamma era il centro del “problema”, chiamiamolo così. Io ero la seconda della lista, ma più che altro perché mi intromettevo e cercavo di calmare mio padre. Anche sui miei fratelli veniva fatta violenza, ma era spesso una violenza psicologica: venivano sminuiti, si sentivano dire ogni giorno che non erano veri uomini, che non erano stati educati bene e cose di questo genere. Ho sempre cercato di proteggerli da queste frasi. I miei fratelli e mia sorella sono quasi adolescenti, e rendono fieri me e mia madre, noi non possiamo chiedere di meglio.
Un alto senso di responsabilità che la porta a comprendere bene le conseguenze di quello che ha fatto. Cosa pensa quando ritorna con la memoria a quel giorno?
Purtroppo dopo un fatto del genere non riesci a smettere di farti domande e darti delle risposte. Arriva anche il momento in cui prendi in considerazione soluzioni irreali, senza nessun senso logico, pur di riuscire a colmare quel vuoto. Successivamente però, dopo aver pianto tutto il giorno ti rendi conto che non ha più senso pensare a cosa avresti potuto fare perché è già successo e non si torna indietro.
Da quanto tempo suo padre usava violenza in casa?
Gli episodi di violenza domestica che riesco a ricordare risalgono a quando avevo sei anni, ma forse anche prima. A quell’età, un bambino è perfettamente in grado di ricordare scene come quella della madre che esce da una stanza, in lacrime e coperta di lividi. Sono immagini che restano impresse nella mente per sempre, impossibili da dimenticare. Le violenze, sia fisiche che psicologiche quindi facevano parte della mia vita quotidiana sin da quando ero piccola e da sempre nella vita mia madre.
Lei si pone in modo molto rispettoso nei confronti dei giudici, ma c’è una cosa in particolare che vorrebbe loro capissero?
Vorrei che capissero che non l’ho fatto in un momento di lucidità: la mia testa era da un’altra parte, ero spaventata e non vedevo altre vie d’uscita. Vorrei far capire anche che, per tutta la mia vita, ho vissuto con l’ansia di svegliarmi e trovare mia madre in condizioni spiacevoli, o di non essere presente durante i litigi, perché l’angoscia di immaginare cosa potesse succederle mi bloccava.
Lei ha tradotto dal russo all’italiano, per le indagini difensive, gli audio di quel giorno e poi anche le tre registrazioni fatte da telefoni diversi e in diverse stanze da lei, la madre e la sorella. Cosa ha provato risentendo la voce di suo padre?
E’ stato terribile, perchè in un attimo è tornata a galla tutta la paura provata in quella giornata. E anche l’angoscia per ciò che è successo dopo, per quelle coltellate date per fermare mio padre che ha aggredito prima mia madre e poi me.
In tanti si sono chiesti perchè sua madre e lei non abbiate mai chiesto aiuto alle forze dell’ordine denunciando quel clima di terrore che vigeva in casa.
La risposta è semplice: basta guardare il telegiornale o le notizie che escono ogni giorno. Sembra che neanche il braccialetto elettronico possa fermare un uomo assetato di vendetta. Senza contare quante donne sono state uccise nonostante le denunce. Per noi sarebbe stato impossibile sfuggire a una persona ossessionata dal controllo totale delle nostre vite. Mia madre è una vittima, rimasta sola con i suoi figli, che aveva paura di perdere. Nessuno di noi potrebbe mai accusarla di non essere stata una buona madre. È una persona straordinaria: basta chiedere a chi la conosce. Perciò, chiedo alle persone di non giudicare o accusare nostra madre: non ha nessuna colpa. È colpevole solo di amarci.
Lei, per voce del suo difensore, ha chiesto di poter tornare a scuola in presenza. Cosa ha provato quando le hanno negato questa possibilità?
Non nego di esserci rimasta molto male. Per me lo studio è importantissimo e non vorrei perdere l’anno, però comprendo anche le ragioni che hanno spinto i giudici a fare questa scelta. Devo dire che già in estate un gruppo di professori mi ha aiutato molto per passare l’esame e andare in quarta (liceo scientifico n.d.r.). Ora studio in modalità asincrona sulla piattaforma Google, però per me è molto difficile fare tutto da sola. Inoltre, non esistendo più la Dad, ogni giorno che passa mi viene segnata l’assenza e forse presto dovrò nuovamente ritirarmi.
Il processo riprenderà il 21 novembre.

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