Rischia 3 anni di carcere la donna di origini romene accusata di essersi approfittata di un anziano disabile contitolare con il fratello di una importante azienda vinicola dell’Albese che produce, fra l’altro, il Barolo.
L’anziano è deceduto l’anno scorso ma il processo è andato avanti anche se l’imputata non si è mai fatta interrogare nè si è mai presentata in aula per rispondere alle domande delle parti.
Non c’era neppure all’ultima udienza quando il pm Deantona ha chiesto per lei una condanna a 3 anni di reclusione.
Secondo le accuse, la donna che prima era alle dipendenze dell’azienda agricola come bracciante e poi è stata presa come badante dell’anziano invalido al 100%, si sarebbe appropriata nel giro di due anni di una cifa vicina ai 130 mila euro intascando bonifici ed assegni firmati dall’uomo a carico del quale è stato certificato un deficit cognitivo e uno stato di vulnerabilità.
Pagamenti, prosegue il pm, cui non corriponde una reale giustificazione.
Di diverso avviso il difensore, l’avvocato Massino, che ha posto due principali argomenti di riflessione al giudice Rosso.
Il primo è squisitamente tcnico. «Per parlare di circonvenzione di incapace serve che l’imputata avesse prosciugato la sua “vittima” dell’intero patrimonio o di una somma sproporzionata alla capacità reddituale dell’anziano. In questo caso i 130 mila euro contestati sono solo una piccola parte di un patrimonio valutato milioni di euro, soprattutto in termini di valore dei vigneti posseduti dall’anziano». Dunque non sussisterebbe la circostanza del depauperamento del patrimonio.
E poi ha fatto leva sulle conclusioni del perito che aveva analizzato la vulnerabilità dell’anziano, concludendo che poteva accorgersene solo chi stava a stretto contatto con lui da tempo.
«E non era il caso della badante, che può aver ricevuto quelle somme sia come compensi dovuti alle sue prestazioni o anche, perchè no, a titolo di regalo. Visto che, ribadisco, per l’anziano erano briciole rispetto alla reale disponibilità di denaro che aveva al momento dei fatti e non vi è alcuna prova di pressione morale o emotiva dell’imputata nei suoi confronti».
Alla luce di queste motivazioni ha chiesto l’assoluzione della donna. Repliche e sentenza in programma per il 16 dicembre.