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Un caffè con… Mimmo Càndito
Attualità

Un caffè con… Mimmo Càndito

Non giriamoci intorno. Ci sono incontri che, rispetto ad altri, hanno inevitabilmente un impatto diverso su di noi. Capaci di sovvertire l’ovvio

Non giriamoci intorno. Ci sono incontri che, rispetto ad altri, hanno inevitabilmente un impatto diverso su di noi. Capaci di sovvertire l’ovvio, muovono pedine sensibili sulla nostra personale scacchiera. Il caffè di oggi è uno di questi. Alto, severo, serio e degno di stima. Potrei riassumere così l’idea che avevamo noi studenti di Scienze della Comunicazione di Mimmo Càndito durante gli anni dell’Università. Il professore dalla “a” accentata, era di quelli che avevano “vissuto guerre e visto cose”, per questo escluso da qualunque gioco di irriverente goliardia studentesca.

Decisa a incontrarlo vengo a sapere che i suoi tempi sono serrati e la voce al telefono tenta di farmi desistere. Mi dicono che arriverà in treno e in quel preciso momento scatta il piano B. Sinceramente non so cosa abbia pensato Mimmo Càndito quando gli ho detto di essere intenzionata a rapirlo per il tragitto stazione-luogo di destinazione, ma posso immaginarlo. Comunque sia, decide di non opporre resistenza al sequestro che, come previsto, si compie. Alla stazione di Asti lo riconosco da lontano, mi avvicino per accompagnarlo all’auto a bordo della quale si realizzerà “Il caffè con…”. Niente tazzine questa volta, ma molte parole. Mentre metto in moto, gli chiedo di raccontarmi il titolo del suo libro. Capirò presto che in esso è compressa la storia e il motivo stesso del libro.

Questa, a dispetto di quello che si potrebbe pensare, non è una cosa tanto ovvia. Perché dunque “55 vasche”? “E’ un titolo che definirei criptico”. Il giornalista mi dice che avrebbe voluto un titolo più chiaro e forse più complesso. “Poi la Rizzoli lo ha integrato con il sottotitolo: “le guerre, il cancro e quella forza dentro” dove sono contenuti sostanzialmente gli elementi essenziali del racconto del libro.” In un secondo le parole guerra e cancro suonano alle mie orecchie come sinonimi. “55 vasche per recuperare l’identità di quella forza dentro.” Mimmo Càndito mi racconta che si trovava a Miami per condurre un’inchiesta sui cubani fuggiti dall’Isola e approdati in Florida, e là andò a fare dei controlli medici. “Mi sentii dire da un medico americano che avevo un tumore al polmone con speranze di sopravvivenza quasi pari a zero. Dopo che me lo disse, mi strinse la mano e se ne andò.”

Deflagrazione. Questa notizia non ha forse lo stesso effetto? La prima correlazione tra la guerra e il cancro sta nella diagnosi stessa. Il professore mi dice che l’esame istologico mostrava che nei vetrini c’erano tracce di metalli pesanti quali il titanio, l’uranio e altri che si trovano solo nelle zone di guerra. Grazie anche all’aiuto di un’amica medico, inizia una cura sperimentale. “Ho fatto sempre sport. A Miami, condividevo con altri condomini, una piscina di 33 metri. Tutti i giorni facevo 30 minuti di nuoto, poi andavo nella palestrina che c’era e facevo ancora un po’ di tappeto. Quando mi fu diagnosticato il tumore, l’oncologo mi raccomandò che non cedessi alla logica negativa, ma che cercassi di mantenere il mio stile di vita. Quindi ogni giorno, nonostante le terapie cercavo di ripetere quello che facevo. Ovviamente mi costava fatica”.

Proseguendo nel suo racconto, l’inviato dice che per un po’ di tempo riuscì a tenere lo stesso ritmo e che 25 continuò ad essere il numero delle sue vasche giornaliere. Mi chiedo allora da dove arrivi il numero 55 e soprattutto che cosa rappresenti. La mia curiosità viene presto soddisfatta. “Arrivò poi un giorno in cui la sessione di chemioterapia fu particolarmente severa e mi sentivo distrutto. Alla fine scelsi comunque di tentare di mantenere il mio ritmo e scesi in piscina per fare le mie 25 vasche. Le gambe mi tremavano e respiravo con fatica, insomma avevo tutte quelle cose che la chemio si porta dietro. Feci 10 vasche e dissi a me stesso che dovevo continuare, ma ero davvero stanco. Feci l’undicesima, tentai di fare la dodicesima, ma quasi andai giù e mi dovetti aggrappare alla scaletta. Restai a prendere fiato, poi risalii e mi coricai su uno dei lettini.”

Non c’era nessuno in piscina, era solo. Racconta che cominciò a meditare e a pensare che avrebbe vinto il tumore, considerato che la sua capacità di resistenza aveva ceduto. “E mentre ero lì che meditavo amaramente su quanto amara sia la sconfitta, mi vennero in mente tutte le circostanze più difficili che avevo dovuto affrontare nei miei anni di guerra e feci inconsapevolmente una sorta di training autogeno, come quello che fanno gli atleti”. La mente e la forza di volontà a volte possono avere effetti sorprendenti perché, nonostante la fatica, Mimmo Càndito sceglie di tornare in acqua. “Ripartii. Arrivai a 25 vasche e dissi a me stesso: “Ora fagli vedere tu al tumore!”. Nuotai ininterrottamente per 25 vasche e poi ancora. 55 vasche e vinsi io. La cura sperimentale ebbe successo e il tumore inasportabile mi fu asportato.”

Difficile ascoltare questa storia e continuare a guidare senza perdere di vista la destinazione. Metto la freccia e giro a destra. Arrivati nel parcheggio dell’Università, scendiamo dall’auto continuando a parlare. E’ allora che noto un particolare che mi era per forza di cose sfuggito durante il viaggio. Mimmo Càndito ha uno sguardo che accompagna il suo racconto senza cedere minimamente all’autocommiserazione per quei momenti vissuti. Fieri e apertamente consapevoli sono quegli occhi che hanno “visto cose”. Tanto in grado di comunicare il proprio vissuto da mettermi in soggezione. Perché si decide di raccontare in un libro un pezzo di vita tanto intimo? Certo, l’istinto del cronista può giocare un ruolo fondamentale in questo. Penso che in questi fatti, lavoro e vita si siano intrecciati anche in rapporti di causa effetto che si vogliono spiegare, sentendo forse il dovere dell’informazione. Forse mi sbaglio.

Negli anni i controlli proseguono e sono costanti. Per anni hanno avuto esito negativo. Fino a quando il giornalista scopre di avere un tumore all’altro polmone e le cure ricominciano. E su ciò che intende dire con il suo libro mi dice: “Ciò che desidero che si sappia e che anche gli altri che hanno un tumore sappiano, è che possono nuotare 55 vasche e vincere. Devono riscoprire quella forza dentro che abbiamo”.

Alessia Conti

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