Ad oltre quattro anni da quella Fiera del tartufo da dimenticare, arriva la sentenza a carico della manciata di commercianti di tartufo sotto processo perchè accusati di aver venduto dei tartufi
Ad oltre quattro anni da quella Fiera del tartufo da dimenticare, arriva la sentenza a carico della manciata di commercianti di tartufo sotto processo perchè accusati di aver venduto dei tartufi "bianco d'Alba" avendoli invece comprati in altre parti d'Italia e anche in Croazia. Sentenza senza dubbi: tutti assolti.
E così oggi, a distanza di questi quattro anni, qualche sassolino dalla scarpa se lo tolgono uno degli imputati e il suo avvocato. Si tratta di Sandrino Romanelli, forse il commerciante di tartufi più conosciuto ad Asti e il suo difensore, Maurizio Lattanzio, che all'epoca dei sequestri era assessore al bilancio della giunta Galvagno. E che quella mattina di novembre 2011, con tutta la piazza in fermento per la fiera, era sceso con il sindaco a chiedere perchè quell'improvviso blitz che aveva portato a sequestri di chili di tartufi, alla denuncia dei commercianti che li avevano esposti e all'interruzione della fiera. «Un'interruzione che ha dato una spallata anche alle edizioni degli anni successivi – dice l'avvocato Lattanzio – perchè i trifulau non volevano più venire ad esporre ad Asti per paura dei controlli».
Il giudice Bosticco si è destreggiato fra fatture di acquisto, autofatture di vendita senza indicazione dell'origine del prodotto per comprendere se vi fosse la prova della vendita di una cosa per un'altra. «E la prova, evidentemente, non c'è stata – ha commentato l'avvocato Lattanzio – ma non perchè ci siano state carenze di indagine, semplicemente perchè è impossibile da trovare. La legislazione italiana obbliga a denominare "tartufo bianco d'Alba o Acqualagna" ogni tartufo bianco, indipendente dalla sua raccolta. E ristoratori e acquirenti degli imputati hanno ribadito chiaramente in aula che a loro interessava solo che si trattasse di tartufi bianchi belli e buoni e su questo punto non sono mai stati imbrogliati».
Non è possibile, scientificamente e biologicamente determinare la provenienza di un tartufo. «Dal colore della venatura interna si può giusto tentare di indovinare il tipo di pianta tartufigena dal quale arriva, ma niente di più». Concetto peraltro ribadito da uno stesso ispettore della Forestale che alla precisa domanda di Lattanzio sulla tracciabilità dei tartufi aveva risposto: «I tartufi non hanno targa, impossibile fare questo riscontro, il nostro è stato un lavoro su base documentale». E così i commercianti imputati (due astigiani insieme a Romanelli e alcuni albesi) sono stati assolti perchè questo riscontro diretto non è stato provato e i loro clienti hanno riferito di aver pagato il giusto prezzo a seconda della qualità del tartufo fornito.
Per l'avvocato Mirate, fra i difensori insieme ad un'altra astigiana, Anna Cavaglià e all'avvocato albese Ponzio, si tratta di «una sentenza corretta dettata sulla base delle prove che abbiamo portato e che sono state recepite dal giudice».
«Archiviata questa pagina stiamo ragionando con il Comune di dare nuovo impulso alla Fiera del tartufo – dice Romanelli – magari con tre weekend successivi a novembre, da mettere in calendario subito dopo la fiera di Alba».
Daniela Peira