Massimo Novelli è l’autore del libro “Annibale Radicati di Cocconato. Il cavaliere senza testa” (edizioni Settecolori, 200 pagine, 18 euro), dedicato a uno dei più controversi personaggi della nobile famiglia dei conti Radicati, con giurisdizione su un vasto territorio del nord Astigiano e alcune terre dell’attuale provincia di Torino, fra XIV e XV secolo: grazie ad abili alleanze e argute manovre diplomatiche, riuscirono a creare uno “staterello”, che godette di autonomia e privilegi sino al 1586, anno della loro definitiva sottomissione ai Savoia.
Il conte più famoso è Annibale Radicati (1530-1574), avventuriero, focoso di carattere, che fu bandito dal Piemonte e trovò ospitalità in Francia alla corte di Caterina de’ Medici (madre di Carlo IX di Valois-Angoulème, ma che aveva il potere nelle sue mani); nelle guerre di religione si schierò con la parte cattolica. Beniamino della duchessa di Nevers, amante di Margherita di Valois, regina di Navarra, si fece promotore di un movimento che, alla morte del re Carlo IX, avrebbe dovuto assicurare la corona di Francia non a Enrico, re di Polonia, bensì al fratello minore, duca d’Alençon. Il complotto, messo in atto con Bonifacio de La Mole, fu svelato e, dopo un breve processo, i due vennero decapitati a Parigi, in piazza di Grève il 30 aprile 1574. La testa di Annibal de Coconnas (così venne francesizzato il suo nome) fu fatta imbalsamare, per volere dell’amante, che la conservò nel castello d’Auzon, vicino a Chinonais, nel nord-ovest della Francia, dove il conte cocconatese visse dal 1547 fino alla sua morte, come ricordano ancor oggi lapidi e cippi in sua memoria. Fu immortalato da Alessandro Dumas nel romanzo La Reine Margot e da Stendhal in Le rouge e le noir.
Massimo Novelli, che scrive per “Il Fatto quotidiano”, in questo libro ricostruisce la vera esistenza del nobile cocconatese attraverso carte e testimonianze inedite. Ne emerge il ritratto di un avventuriero filosofo, di un soldato coraggioso e di un agente segreto forse fedele solo al Duca di Savoia, che fu condannato a morte come capro espiatorio per coprire le colpe dei grandi, un gentiluomo moderno, scettico e ironico che non credeva né a Dio, né al diavolo.
Di Annibale Radicati si parlerà anche nel prossimo numero della rivista “Astigiani”, in un articolo firmato da Fulvio Lavina, direttore de “La Nuova Provincia”.