Primi giorni di pensione per Donatella Masia, sostituto procuratore del tribunale di Asti.
Originaria di Udine, è giunta a Torino al seguito del padre, ufficiale dell’esercito (così come il marito mancato nel 2004 lasciandola con due figli che oggi hanno 32 e 34 anni).
Ha trattato ogni tipo di indagine, ma ad Asti si è distinta per il suo impegno nelle cosiddette «fasce deboli»”, a tutela di donne, bambini e, più in generale, vittime dalla particolare fragilità.
Lei ha ricoperto sia il ruolo inquirente che quello giudicante. Come giudica questa esperienza?
Io divenni pm nel 1994 ma sono in magistratura dal 1981 dove sono stata giudice penale, giudice istruttore e anche Gip. Aver fatto il giudice prima del pm è stato molto importante per la mia formazione. Anche se, nonostante questa mia esperienza, ho una granitica convinzione di quanto sia invece utile, oggi, la separazione delle carriere. Secondo me, dopo il passaggio al nuovo Codice, questa separazione si impone.
Rivolgendosi idealmente a tutti i giovani che vogliano intraprendere la carriera in magistratura, cosa si sente di dire loro, oggi, che è arrivata al primo giorno di pensione?
Che fanno un’ottima scelta perchè rimane un mestiere bellissimo, stimolante ed imprevedibile, che ogni giorno presenta casi diversi da tutti quelli precedentemente trattati. E’ una straordinaria palestra di umanità e ti costringe a ricercare sempre un equilibrio personale. Perchè, va ricordato, qualunque decisione di un pm o di un giudice, può cambiare la vita di una persona.
Ma lei ha un consiglio importante da dare, che si affianca alla formazione e allo studio specifico.
Certo, ed è quello di non entrare in magistratura subito dopo università, corso e concorso. Sono convinta che per diventare un buon magistrato si debba prima lavorare per qualche anno al di fuori dei tribunali. In aziende private o in funzioni pubbliche diverse da quelle del mondo della giustizia. Questo perchè serve capire come gira il mondo prima di decidere della vita degli altri. Oltretutto da soli, in formazione monocratica.
E’ davvero fondamentale comprendere fino in fondo quali conseguenze sulle aziende, sulle persone, sulle famiglie, possono avere decisioni spesso irrevocabili.
Io stessa, prima di entrare in magistratura, ho lavorato in seno alla Reale Assicurazioni, a Torino.
Una carriera lunga ed intensa, la sua. Ma come ogni magistrato, avrà qualche processo che le è rimasto “sulla pelle”?
Sì, due. Uno è quello che trattai da giudice istruttore a Torino. Riguardava il tentato omicidio di un marito con il Paraflu, quello che si usa per le auto e che è una potentissima sostanza tossica per le persone. La moglie l’aveva aggiunto al preparato per la colonscopia e solo la tenacia e l’intuizione di una dottoressa dell’ospedale in cui l’uomo arrivò in coma riuscirono a salvargli la vita. La moglie, ovviamente, venne condannata.
E l’altro?
L’altro è quasi un caso letterario. Ero già pm ad Alba e lavorai ad un processo totalmente indiziario nei confronti di una donna che uccise madre e padre a coltellate, dopo averli storditi. Lei non confessò mai, ma sempre io avevo già indagato su di lei, due anni prima, quando aveva legato il marito al letto dopo averlo intontito con dei sonniferi ed averlo colpito alla testa.
Come intende sfruttare tutto il tempo che improvvisamente le si è liberato con il pensionamento?
Potrò finalmente dedicarmi alle cose che mi piacciono e che ho sempre potuto seguire, finora, ritagliando tempo al mio lavoro da pm. Parlo di studio e ricerche nel campo della storia, della geopolitica, dell’editoria in collaborazione con la Luxembourg di Torino e il Circolo dei Lettori. E poi curerò con maggiore assiduità la mia contiguità con Israele. Le dirò di più. Attendo con ansia che “scoppi la pace” per andare a vivere lunghi periodi in quel luogo che sento dentro.
Una risposta
Brava… Rispetto!