Continuano a soffrire le aziende artigiane del settore moda che operano nel campo tessile e dell’abbigliamento, così come nella lavorazione di pelli, cuoio e calzature.
A parlare sono i dati di Unioncamere Piemonte: al 31 marzo 2019 erano 2.458; al 31 marzo di quest’anno ammontano a 2.229. In sei anni hanno quindi cessato l’attività 229 imprese. Un andamento che ha riguardato anche l’ambito provinciale: in base ai dati di Infocamere, infatti, le aziende astigiane del settore che, nello stesso lasso di tempo, hanno cessato l’attività sono state 185, in quanto sono passate da 397 a 212: il numero di chiusure più alto in Piemonte.
Le cause
Come denunciato dall’associazione di categoria Confartigianato, l’inflazione, le nuove normative europee e la concorrenza di Paesi con bassi costi di manodopera, soprattutto grazie allo sviluppo dell’e-commerce, hanno creato problemi al settore. Nel ruolo di “complici” della situazione, le abitudini di consumo che premiano abbigliamento casual e sportivo, riducendo la domanda di prodotti di lusso e di alta qualità, sempre meno alla portata dei consumatori, e alimentando il cosiddetto “fast fashion”.
«La qualità delle nostre produzioni – commenta Samantha Panza, titolare della ditta di costumi storici Principessa Valentina e presidente Abbigliamento di Confartigianato Imprese Piemonte, oltre che vice presidente nazionale – è riconosciuta in tutto il mondo. Considerata la situazione, riteniamo che sia arrivato il momento di garantire una maggiore stabilità ad un marchio di alto valore come il Made in Italy. Il settore ha retto il periodo pandemico, ma altre situazioni geopolitiche internazionali e le nuove misure imposte a livello europeo, anche sulla sostenibilità, stanno mettendo a dura prova la sua resilienza».
«In tale contesto – prosegue – il Governo ha riconosciuto lo stato di crisi del settore, tanto da convocare il Tavolo di crisi del sistema moda il 6 agosto. Ma la sfida è alta».
Le norme sulla sostenibilità
La presidente approfondisce quindi il discorso relativo alle normative europee sulla sostenibilità, che stanno impattando sul settore. Norme che mirano a ridurre l’impatto ambientale e sociale, richiedendo alle aziende di rivedere i modelli di business in modo da porre attenzione alla durata dei prodotti e al loro riutilizzo.
«Personalmente, forse perché sensibile al futuro delle nuove generazioni – commenta – ne condivido molte. Ad Asti le aziende del settore che sono sopravvissute finora sono sensibili sull’argomento e in molti casi le applicano virtuosamente da tempo, soprattutto per ciò che concerne il riciclo, lo smaltimento dei rifiuti, l’etica produttiva e nei confronti del personale, anche grazie al supporto di Confartigianato. E’ indubbio, però, che molte normative e adeguamenti siano costosi. Occorre quindi supportare chi vuole eccellere anche a questo livello, oltre che nella qualità dei prodotti realizzati. Servirebbero leggi o agevolazioni idonee, accessibili ed efficaci».
I punti di f0rza
Panza ricorda quindi i punti di forza del settore nella provincia. «Nell’Astigiano lavorano ditte rinomate a livello internazionale nell’abbigliamento, nella moda, nello stilismo, ma anche nel settore cinematografico, tessile industriale, nel complemento d’arredo, nelle vele nautiche. Abbiamo una tradizione storica e culturale, oltre che abilità artistiche e artigianali, che ci pongono in una posizione privilegiata rispetto ad altre zone del Piemonte e dell’Italia. Da provincia con più aziende chiuse negli ultimi sei anni, Asti deve e può ritornare ad essere punto di forza di tutto il comparto moda e abbigliamento, compreso l’indotto ad esso collegato. Spero di riuscire, con i colleghi di federazione, a sensibilizzare il Governo».
Il commento di Giorgio Felici
La situazione è seguita con attenzione dall’associazione di categoria anche a livello regionale. «Al Ministero – dichiara Giorgio Felici, presidente di Confartigianato Imprese Piemonte – chiediamo misure ad hoc per la salvaguardia dei livelli occupazionali, una politica mirata di sostegno al credito e disposizioni per agevolare l’implementazione di nuove tecnologie digitali. Se vogliamo che il Made in Italy continui ad essere il fiore all’occhiello dell’Italia è necessario valorizzare le aziende, soprattutto quelle di medie e piccole dimensioni che garantiscono l’artigianalità che tutti ricercano».