Una storia di un giorno fa che apparentemente può sembrare piccola piccola ma che invece porta in sè un grande insegnamento e un gesto di grande umanità.
La racconta sul suo profilo Facebook l’avvocato Patrizia Gambino, presidente dell’associazione VAO, i volontari ospedalieri in servizio al Pronto Soccorso del Cardinal Massaia.
Ed è proprio il Pronto Soccorso a far da quadro a questa “cronaca” di uno slancio di generosità.
«Oggi, in Pronto Soccorso, è arrivato un uomo anziano, accompagnato da un’ambulanza. Aveva lo sguardo stanco, i movimenti lenti, la dignità silenziosa di chi ha attraversato la vita portandosi tutto addosso, senza fare rumore.
Lo hanno visitato, stabilizzato, rassicurato. Nulla di grave. Ma quando è arrivato il momento di uscire il vero problema è venuto alla luce.
L’uomo non aveva denaro. Nessun mezzo per tornare a casa, che si trova fuori città, in un piccolo paese lontano da tutto. Non poteva permettersi un taxi, né richiamare l’ambulanza, che in quel caso sarebbe stata a pagamento. Nessun parente poteva venire a recuperarlo. Era solo. Solo in mezzo alla folla.
E così, mentre la gente entrava e usciva, lui restava lì. Seduto. In silenzio. Un silenzio che parlava molto forte.
Io ero lì, presente come volontaria in turno.
Lo osservavo da lontano, con discrezione, e dentro sentivo crescere una domanda: “E ora? Lo lasciamo davvero solo?”
Ho deciso, in maniera del tutto istintiva, di raccontare la circostanza agli altri volontari, quasi con un nodo alla gola. Non ho chiesto nulla. Ma non ce n’è stato bisogno. Una di loro ha detto subito: “Patrizia lo pago io il taxi.” Un altro: “Aspetta, contribuisco anche io.” E poi un altro, e un altro ancora. Una catena silenziosa di generosità.
E in meno di qualche minuto avevamo raccolto abbastanza per coprire la corsa.
Ho chiamato un taxi e sono rimasta con lui ad aspettarlo. Gli ho detto che poteva tornare a casa, che ci avevamo pensato noi.
Ha sollevato lo sguardo lentamente, e gli occhi gli si sono riempiti di lacrime.
Quando è arrivato il taxi, gli ho dato il braccio per aiutarlo a salire. Era leggero, quasi fragile. Prima di chiudere la portiera, si è voltato e mi ha afferrato la mano con forza, come se volesse aggrapparsi a qualcosa che non fosse solo un gesto. “Grazie. Non lo dimenticherò mai” ha sussurrato.
Io ho sorriso ma dentro, stavo piangendo anche io. Ma non solo per lui, piangevo per la bellezza che avevo appena visto. Per quei volontari che, senza fare rumore, avevano dimostrato che la solidarietà esiste ancora, che l’umanità non è ancora sparita del tutto, che c’è ancora chi si ferma e si prende cura degli altri.
E allora mi sono fermata a pensare. “E se quel signore fosse stato mio padre? E se al suo posto ci fosse stato uno dei nostri genitori? O magari noi stessi, tra qualche anno, con la pensione che non basta e un telefono scarico in tasca?”
Gli anziani sono fragili, silenziosamente fragili.
E spesso invisibili, come ombre che camminano al bordo delle nostre giornate frenetiche. Ma sono proprio loro, con i loro occhi pieni di storie, le mani che hanno lavorato per anni e le spalle curve, a meritare più di tutti il nostro rispetto, la nostra attenzione. Il nostro tempo.
Aiutare quel signore non è stato un gesto speciale, è stato un gesto umano e del tutto normale.
Forse il mondo cambierebbe davvero se ognuno di noi, una volta ogni tanto, decidesse semplicemente di esserci.
Perché la cura non è solo medicina, a volte è una mano tesa, un taxi pagato senza fare rumore e due lacrime che si incrociano tra loro senza vergogna».