Cerca
Chiudi questo box di ricerca.
DSC
Attualità
Il caso

Robella: “salta” la bonifica della Sicer e quei quintali di amianto fanno paura

Il grande stabilimento abbandonato doveva essere messo in sicurezza già da cinque anni ma nulla è stato fatto. Tetti in eternit degradati.

Doveva essere bonificato entro il 2020, come disposto nel 2018 dall’Arpa, lo stabilimento ex Sicer, in località Cavallo Bianco, lungo l’arteria a grande traffico che collega Torino con Casale Monferrato, a poca distanza da abitazioni e attività commerciali, ma nulla è stato fatto e il degrado dei capannoni continua inarrestabile.

A preoccupare la popolazione non è tanto l’aspetto estetico, ma la copertura in lastre di fibrocemento (conosciuto come Eternit, dal nome della fabbrica produttrice), contenenti il temuto amianto e per questo vietate dal 1992; gli eventi atmosferici e in particolare le grandinate hanno rotto e bucherellato le vecchie lastre. Come noto, sino a quando le lastre sono integre, non sussistono particolari problemi, ma quando si sfaldano o si rompono, liberano le fibre potenzialmente cancerogene nell’ambiente. Si tratta di due capannoni, da tempo fatiscenti.

Il sopralluogo dell’Arpa del 2018 aveva accertato che la superficie non è limitata ai 3 mila metri quadrati delle coperture, ma doppia: infatti a fine anni Ottanta, a seguito di una violenta grandinata che aveva danneggiato la copertura questa non venne sostituita, ma ne venne sovrapposta un’altra, sempre in Eternit.
Nel 2022 ulteriori più approfondite analisi avevano evidenziato che non sussisterebbero particolari rischi per la popolazione e all’ambiente.

La Sicer, produttrice di piccoli elettrodomestici (frullatori, ventilatori, lucidatrici), dopo aver conosciuto una fase di un notevole sviluppo, favorendo l’occupazione locale, per varie vicende, andò in crisi e nel 1988 trasferì l’attività nella sede di Volpiano, passando in amministrazione controllata. I fabbricati vennero acquistati dall’immobiliare Bellonia di Torino, che intendeva insediarvi attività commerciali, senza successo.
Il bene passò poi all’immobiliare Beta, società messa in liquidazione, che non provvide a saldare i debiti e così venne acquisito dall’Agenzia delle Entrate.

Da allora le amministrazioni comunali che si sono succedute hanno più volte affrontato il problema di riqualificazione dell’area, inserendola nei propri programmi elettorali e prevedendola nelle varianti del piano regolatore, proponendo le più disparate soluzioni.
Ma, a distanza di molto tempo, nulla è stato fatto e il degrado del fabbricato non si è arrestato.

L’amministrazione comunale, guidata a Guido Gavosto, con un bilancio di circa 600 mila euro non è certo in grado di farsi carico di una spesa stimata in 500 mila euro, oltre tutto su un immobile non di sua proprietà.
Anche la partecipazione a un bando Pnrr nel 2021 non aveva ottenuto il finanziamento da parte el Ministero dell’Ambiente.

Se l’opera di bonifica ha costi proibitivi, si potrebbe valutare una soluzione temporanea per mettere in sicurezza i capannoni: con una spesa contenuta i tetti potrebbero essere ricoperti con una copertura impermeabile provvisoria che impedisca la fuoriuscita delle micidiali fibre d’amianto.

Condividi:

Facebook
Twitter
WhatsApp

Le principali notizie di Asti e provincia direttamente su WhatsApp. Iscriviti al canale gratuito de La Nuova Provincia cliccando sul seguente link

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *