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Il caso

Asti, falco di palude morto: fortissimo il sospetto di un atto di bracconaggio

Raccolto da un naturalista a terra, con l’ala spezzata. E’ una specie protetta

E’ impossibile scambiare uno straordinario esemplare di rapace come il falco di palude con un uccello da selvaggina. Chi ha sparato al falco sapeva cosa stava facendo.
E si riaccende il faro sui cacciatori che non rispettano le leggi venatorie una delle quali, fra le più importanti, tutela proprio i rapaci che non possono mai e poi mai essere cacciati.
Perché anche se non è stato ritrovato il pallino, è altissima la probabilità che il falco atterrato nei giorni scorsi sia stato colpito da un colpo di carabina.
Il falco di palude ritrovato dal naturalista Leonardo Corino durante una delle sue uscite nelle zone a ridosso di Revigliasco al confine con Antignano, è stato molto probabilmente mirato per essere abbattuto.
Corino lo ha trovato a terra, su un prato al limitare di un boschetto che non riusciva più a riprendere il volo e zoppicava vistosamente. Il naturalista ha subito avvisato Federico Pino, consigliere rappresentante delle associazioni ambientaliste in seno all’Ente Parco Paleontologico Astigiano che gestisce anche le oasi protette.
Da quel momento è partita una catena di soccorso molto veloce ed efficiente, per non rischiare di “perdere” il falco che, seppur a fatica, si stava spostando.
I guardiaparco insieme a Corino poco dopo il ritrovamento hanno cercato il falco e lo hanno recuperato. Era vistosamente in difficoltà, denutrito e disidratato (segno che era stato colpito da qualche giorno) e con l’ala rotta.
Grazie anche alla disponibilità di Giovanni Grasso, naturalista della Lipu, il falco è stato portato al Centro di Recupero Fauna Selvatica di Tigliole per iniziare subito le cure sotto la supervisione di Angelo Rossi, responsabile del Cras. La Tac ha rivelato che il tipo di lesione che ha provocato la frattura dell’ala è altamente compatibile con un colpo di carabina; l’ala è stata “steccata” sperando in una pronta ripresa. Dopo, ovviamente, essere stato nutrito e idratato. La diagnosi parlava di 20 giorni di steccatura e poi le prove di volo per capire se poteva riprendere il suo viaggio migratorio. Le zone umide che corrono vicino al fiume Tanaro come le oasi della Bula, sono delle “stazioni di sosta” molto frequentate dagli uccelli migratori che usano il fiume come corridoio ecologico in cui riposarsi.
Ma il soccorso è stato vano perché pochi giorni dopo il falco è deceduto lasciandosi dietro il rammarico per questa fine e quel sospetto di un abbattimento volontario.

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