«Lo Stato è il socio occulto dei piccoli imprenditori, considerando che la pressione fiscale complessiva, ad Asti, è pari al 50,5%. Tanto che nel 2024 le micro e piccole imprese hanno destinato la metà del loro tempo al pagamento delle tasse. Hanno, cioè, lavorato per il fisco fino al 3 luglio, destinando 181 giorni per produrre e 185 giorni per pagare le tasse».
E’ il commento di Stefania Gagliano, direttrice territoriale Cna (Confederazione nazionale artigianato), in merito all’Osservatorio sulla tassazione piccole imprese “Comune che vai fisco che trovi”, giunto alla settima edizione. Redatto dall’associazione di categoria e presentato recentemente a Roma, ha proposto una classifica tra 114 comuni italiani facendo un raffronto sulla base di un’impresa tipo, con laboratorio artigiano di 350 mq e negozio di 175 mq.
Nonostante il «grande lavoro fatto in questi anni da parte di Cna con il Ministero dell’Economia, che ha accolto cinque nostre richieste», spiegano dall’associazione, dallo studio emerge ancora una grave mancanza di equilibrio nel sistema, che penalizza fortemente gli imprenditori, in particolare i titolari di piccole imprese.
In base al report, il 2024 ha registrato un minimo calo della tassazione sulle imprese personali (dal 52,8% al 52,3%) con la permanenza, tuttavia, di consistenti divari territoriali. In Italia si va dalla pressione fiscale complessiva pari al 46,3% di Bolzano a quella del 57,4% di Agrigento.
Differenze rilevanti anche in Piemonte: da Cuneo, terza in Italia con il 48,8%, fino a Vercelli, ferma al 112esimo posto con il 56,8%.
I dati della ricerca
Direttrice Gagliano, dallo studio emerge che la pressione fiscale totale, per una micro e piccola impresa astigiana, ammonta al 50,5%, un risultato che pone Asti 17esima nella classifica nazionale. Quale imposte rientrano in questo conteggio?
Tutte le imposte che le imprese devono pagare sull’attività di impresa e sulla proprietà patrimoniale, dall’Irpef all’Irap, dall’Imu alla Tari. Un livello di pressione che impone sicuramente ragionamenti sulla necessità di una sua riduzione. Ragionamenti complicati, per la presenza di numerosi attori, ma doverosi.
Qual è il nodo principale?
Le Amministrazioni comunali applicano le imposte (Imu, Tari, addizionali comunali) per sostenersi e quindi ritengono che, abbassandole, sarebbero costrette a ridurre i servizi generali. Lo stesso per lo Stato a livello centrale. In entrambi i casi, però, non si tiene conto che l’ossatura dell’Italia è composta da micro (fino a 5 dipendenti) e piccole imprese (fino a 50 addetti) che rivestono anche un ruolo sociale. Pensiamo ai piccoli comuni. Gli artigiani (ad esempio a parrucchieri o fornai) sono fondamentali per mantenere vive queste zone ed evitare lo spopolamento. Eppure, sebbene non possano avere un giro di affari pari a quello di una grande città, la tassazione non cambia. Ecco, in questi casi le amministrazioni comunali dovrebbero prevedere agevolazioni, riconoscendo il ruolo sociale di queste imprese e lo scambio con la popolazione, dato che fanno riferimento ad una comunità ben precisa. E invece, analizzando il meccanismo di tassazione, il messaggio che passa è ben diverso…
La denuncia del sistema attuale
Quale?
Il sistema attuale “premia” chi non cresce, non si struttura, non si rafforza assumendo dipendenti per stare sul mercato e favorire il passaggio generazionale, dato che solo attorniandosi da collaboratori i titolari possono pianificare l’attività, non essendo schiacciati dall’operatività.
Pensiamo al regime forfettario (regime fiscale agevolato per le partite Iva individuali che permette di fruire di alcune semplificazioni fiscali e contabili, ndr): appena si supera questa condizione si passa alla tassazione ordinaria con un notevole salto a livello di costi e burocrazia. Oppure alla soglia dei 15 dipendenti (che garantisce minori obblighi in alcuni ambiti rispetto alle imprese con più addetti, ndr). O ancora, banalmente, alla collocazione di una insegna luminosa nella sede. Anche in questo caso l’imprenditore paga una imposta, nonostante una strada con insegne luminose rappresenti uno dei deterrenti contro il degrado. E tutto ciò con il paradosso che lo Stato si lamenta della dimensione troppo piccola delle imprese italiane.
Quali sono le conseguenze concrete di questa situazione?
Posso rispondere con un dato: la metà dei nostri circa mille associati non ha dipendenti. Questo perché, quando da imprenditore individuale si diventa datore di lavoro, aumentano i costi, la burocrazia e le responsabilità dal punto di vista penale ed economico. Non c’è gradualità nel passaggio da forme di gestione del personale quali tirocini e contratti di apprendistato all’assunzione vera e propria. Il salto è troppo alto, considerando anche che il dipendente, dovendo imparare un mestiere, impiega tempo a diventare produttivo anche dopo l’assunzione.
Il calo del numero di imprese
L’artigianato ha registrato un calo del numero di imprese negli ultimi anni?
Sì, proprio perché questo sistema di tassazione non consente di remunerare il rischio di impresa. In particolare è in crisi il ricambio generazionale, con il tessuto delle micro e piccole imprese che si sta impoverendo per vari motivi. Innanzitutto, come dicevo prima, perché, a differenza degli anni del boom economico, le imprese non producono occupazione e faticano a stare sul mercato. Poi perché lo status sociale di imprenditore non è più ambito e nelle famiglie il messaggio trasmesso ai figli è che “non ne vale la pena”. Infine la difficoltà di tenere fedeli i dipendenti per chi, nonostante tutto, decide di assumere. A questo proposito la pandemia ha fatto da spartiacque: spesso i giovani abbandonano l’azienda se il lavoro non è come l’avevano immaginato e non sono soddisfatti delle retribuzioni previste dai contratti nazionali. Qui interviene l’ormai noto discorso del cuneo fiscale, ovvero la differenza molto elevata tra stipendio lordo e netto a causa della tassazione. Insomma, l’impresa si trova “schiacciata” dalla pressione fiscale, con un effetto a cascata anche sulla clientela, che a volte si lamenta del costo del servizio, non avendo ben presente questa situazione.
Insomma, come si può comprendere, è sempre più difficile fare impresa.