Attraverso quali percorsi la cultura può arrivare a migliorare la società? La classica domanda da un milione di euro, dinanzi alla quale è impossibile dare risposte esaurienti e le risposte
Attraverso quali percorsi la cultura può arrivare a migliorare la società? La classica domanda da un milione di euro, dinanzi alla quale è impossibile dare risposte esaurienti e le risposte parziali sono difficili da tradurre in realtà. Ciò non nega però la necessità di interrogarsi e di avere qualche linea-guida, un percorso ideale da intraprendere per mettersi in strada lungo questo difficile cammino.
Innanzitutto, la cultura ha il fine ultimo di assottigliare le pareti delle barriere invisibili che ostacolano i rapporti interpersonali. Il grande compito che intende assolvere è quello di «allontanare l'ignoranza e ridurne i danni, provando a darci gli strumenti che ci consentano di vivere insieme alle altre persone», come pronunciato dall'assessore Massimo Cotto nel suo esordio. Il rispetto delle idee altrui attraverso la tolleranza, la documentazione e la conservazione del passato come basi per la continua ricerca di strade nuove sono altri aspetti fondamentali sollevati da Laurana Lajolo, insieme alle esigenze della comunicazione e dell'incontro, che devono essere promosse dai luoghi di cultura e nei luoghi di cultura.
L'educazione è invece il tema che di primo acchito Ottavio Coffano intreccia strettamente alla cultura. L'Italia è il Paese che ha il maggior deposito di beni culturali nel mondo, 1420 musei, oltre 700 sale espositive e più di 11 mila mostre allestite ogni anno: perché tanta abbondanza di offerta non si riduca ad un inutile esborso di risorse, si ha il dovere di provvedere a fornire ai cittadini una formazione che ne permetta una consapevole fruizione. Un discorso analogo lo tracciò Alessandro Baricco in un suo articolo su Repubblica agli albori della crisi economica, invitando a indirizzare più soldi pubblici verso scuola e televisione, meno laddove apparentemente non servono più: dopotutto "che senso ha spendere per salvare l'Opera e produrre studenti che ne sanno più di chimica che di Verdi?"
Introduciamo così il punto nevralgico del discorso, perché un alimento base della cultura sono sempre e comunque le finanze. Economia e cultura dovrebbero essere complementari e reggersi l'una sull'altra perché «la cultura non può essere venduta a cottimo, deve essere pensata come un investimento, un costo che nel tempo ripaga con gli interessi. Oggi però l'unica via che consente ad alcuni settori di sopravvivere è l'intervento dei mecenati privati» sono le parole di Antonio Rinetti. Quella che Laurana Lajolo chiama "economia della conoscenza" sarebbe imprescindibile per collegare in rete cultura, turismo, posti di lavoro, ma con l'assistenza che richiede sempre più energie per gli aumenti della disoccupazione, della povertà e dell'immigrazione, per la cultura rimangono le briciole e in Italia siamo ben lungi dalla mentalità americana "io ho creato, io dono" testimoniata di recente dal papà di facebook Zuckerberg. Più comune quella "io ho creato, ma tengo famiglia", come scritto da Gianni Riotta in un recente articolo.
Dinanzi alla difficilmente reversibile mancanza di fondi, diventa ancor più irrinunciabile l'esigenza di idee, di ingegno, di cooperazione. In una parola, di progettualità. Fare tanto per fare, coi costi che comporta qualunque azione, non ha nessun senso: attuando un'iniziativa, è fondamentale aver chiaro in quale direzione si voglia andare, avere un progetto che faccia da sfondo e da punto di arrivo al percorso che si decide di intraprendere. Queste sono le linee-guida ideali. Asti e la sua proposta culturale globale a che punto sono del tragitto?