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Quirinale/Pd alla conta, in pole Prodi-D'Alema. Bersani vacilla
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Quirinale/Pd alla conta, in pole Prodi-D’Alema. Bersani vacilla

Quirinale/Pd alla conta, in pole Prodi-D’Alema. Bersani vacilla
Si comincia a parlare di dimissioni. Renzi tratta: basta veti.


Roma, 18 apr. (TMNews)
– Il Pd proverà domattina ad uscire dal pantano in cui si è cacciato, il voto nell’assemblea dei grandi elettori dovrà servire a resettare tutto e a togliere alibi a chiunque: questa è la strategia immaginata da Pier Luigi Bersani dopo le riunioni e i contatti di oggi con i big del partito. Riunioni e contatti per niente facili, visto che i cattolici minacciano ritorsioni nel caso Franco Marini fosse messo da parte. In realtà, chi ha parlato con Bersani spiega che il segretario, e non solo lui, considera ormai fuori dai giochi l’ex presidente del Senato. Ma se Marini è stato vissuto come un nome imposto dall’alto per sugellare patti poco onorevoli, adesso l’impostazione va ribaltata, è stato uno dei suggerimenti arrivati al segretario: il Pd, innanzitutto, indichi il proprio candidato, con un pronunciamento dei ‘grandi elettori’. Un voto non su un nome secco, ma su una rosa di candidati, in modo che nessuno possa dire che qualche strada è stata scartata a tavolino.

Bersani, che anche in queste ore è riunito con la sua cerchia stretta e si tiene in contatto con gli altri dirigenti Pd, ha innanzitutto escluso proprie dimissioni, evocate invece dal sindaco di Bari Michele Emiliano. Le ha escluse almeno per ora, perché “non si lascia la nave in tempesta”. Dopo l’elezione del nuovo presidente si vedrà. Il segretario, capito che Marini sarebbe stato impallinato, è sparito dalla Camera e si è rifugiato in un ristorante con Enrico Letta, Vasco Errani e Maurizio Miglivacca. In pratica, il gruppo con il quale ormai valuta tutte le decisioni, con una eccezione però: Dario Franceschini, che era presente ieri sera quando si è deciso di puntare su Franco Marini e che oggi, invece, non era a tavola con Bersani. Con molti altri dirigenti Pd Bersani ha parlato al telefono, il segretario si è consultato per raccogliere pareri sulla situazione.

Marini non vuole saperne di farsi da parte e i cattolici lo spalleggiano. Gli ex Ppi hanno messo in guardia il segretario: attento, un’umiliazione di Marini rischierebbe di compromettere tutto, qualunque altro nome sarebbe a rischio, dopo. Bersani, però, ha cercato di spiegare che ormai è impensabile che l’ex presidente del Senato possa essere ancora spendibile per il Colle, dopo quello che è successo. Una via d’uscita può essere appunto il voto di domattina su una rosa, che magari potrebbe comprendere lo stesso Marini, se lui ritenesse. Un modo, in realtà, per spingere l’ex sindacalista a prendere atto che è meglio uscire di scena. Non a caso proprio Gianclaudio Bressa, uno degli esponenti vicini a Dario Franceschini, avverte: “La strada del voto su una rosa è delicata, rischia di dare una brutta immagine del gruppo dirigente…”. Ovvero, di fatto suonerebbe come una sorta di abdicazione di Bersani.

Adesso, però, c’è da uscire da una situazione esplosiva e questo è un tema che può aspettare qualche giorno. L’importante è ricompattare il partito e anche da Matteo Renzi arrivano segnali distensivi: il sindaco di Firenze, arrivato stasera a Roma per incontrare i suoi a Eataly, il tempio del cibo del suo amico imprenditore Oscar Farinetti, ritiene di avere vinto il round e spiega ai suoi che non è più il momento dei veti. Renzi è sicuramente più propenso a votare per Prodi, ma non esclude nemmeno D’Alema, dipenderà dal contesto politico. Veltroni, invece, chiede che si vada su un nome come Sabino Cassese, una figura istituzionale che può facilitare poi un governo del presidente. Filippo Civati, invece, vede una “manovra” per fare emergere la candidatura di Massimo D’Alema, una manovra a cui parteciperebbero i ‘giovani turchi’. Per questo Civati propone ai renziani un patto per evitare che “parta il treno”.

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