Ogni secolo vanta una forma d'arte che spicca sulle altre e può dirsi popolare. Nell'Ottocento è stato il melodramma, con i suoi drammi ad esito infausto. In Italia, la popolarità del
Ogni secolo vanta una forma d'arte che spicca sulle altre e può dirsi popolare. Nell'Ottocento è stato il melodramma, con i suoi drammi ad esito infausto. In Italia, la popolarità del genere coincise con un altissimo standard qualitativo. Non a caso in quel secolo vissero Rossini, Bellini, Donizetti e Verdi, i "quattro evangelisti" della tradizione musicale, così chiamati da Luigi Confalonieri, insigne musicologo, per contrapporli ai quattro grandi animatori della musica del Settecento: Vivaldi, Domenico Scarlatti, Bach e Haendel. Nel Novecento il genere operistico subì, invece, una battuta d'arresto (sostanzialmente, a favore del cinema), complici anche le avanguardie musicali, le sperimentazioni che con il ricorso ad un linguaggio complesso allontanarono dai teatri una buona fetta di pubblico.
Secondo una prospettiva di pensiero, l'ultimo melodramma degno di questo nome è la Turandot di Puccini, andata in scena postuma nel 1926. Dopo Puccini, dunque, il diluvio? In un certo senso sì. Ad ogni modo, le opere vengono date ancora oggi. La gente continua ad andare a teatro. Ma con una consapevolezza diversa. Si guarda all'opera come ad un classico. Il teatro che la riguarda è un teatro di interpretazione. Non per questo è meno vitale. Anche le interpretazioni ? si sa – infiammano. Sui cantanti ci si divide. E lo si è sempre fatto. Un tempo c'erano i sostenitori di Di Stefano e quelli di Del Monaco; quelli della Callas opposti a quelli della Tebaldi e così via. Le grandi stelle della lirica cantavano indifferentemente sulle grandi ribalte e sui piccoli palcoscenici. Grazie anche a loro il teatro Alfieri di Asti ha avuto momenti di gloria. Per ascoltare i propri beniamini ci si spostava. Si percorrevano chilometri. Asti allora divenne punto di riferimento per i forestieri.
Così accadde, ad esempio, nel 1946, in occasione dell'inaugurazione del piccolo teatro Don Bosco di proprietà dei salesiani. L'evento fu solennizzato da un concerto a cui parteciparono il tenore Aureliano Pertile, ormai a fine carriera, il baritono Antenore Reali e il giovane soprano astigiano Rosetta Pavesio, che poi abbandonò la carriera. Il concerto ebbe molta risonanza e recensioni entusiastiche: «Il bel teatro che i Salesiani hanno costruito intitolandolo al nome del loro fondatore non poteva avere battesimo più degno» – scrisse il cronista de "Il Cittadino" – «Il simpatico gesto di un gruppo di artisti di venire da Milano per una serata di arte e di bontà è stato apprezzato ed un pubblico numeroso è accorso a plaudire gli esecutori, a dire il suo consenso ai bravi figli di San Giovanni Bosco. Il programma, felicemente scelto, ebbe magistrale esecuzione».
Molte persone vollero assistere all'esibizione, ma il "Don Bosco" non era in grado di ospitarle tutte. Per ovviare al problema si ricorse ad uno stratagemma: all'esterno del teatro vennero posizionati alcuni altoparlanti che diffusero, a tutto volume, la voce degli artisti. In altre occasioni, il pubblico accorse non per la celebrità dei cantanti ma l'ufficialità della serata. È ciò che avvenne l'11 novembre 1913 in occasione del compleanno di re Vittorio Emanuele III. Al sovrano venne dedicata una recita speciale di Isabeau di Mascagni, a cui non si poteva mancare. Più di una rappresentazione teatrale si trattò di una serata mondana. In platea e in ogni ordine di palchi, manco a dirlo, fu un tripudio di eleganza.
Alberto Bazzano